Ascensione del Signore (Anno A)
At 1,1-11 / Sal 46 / Ef 1,17-23 / Mt 28,16-20
Il mandato
Una strana festa, quella dell’ascensione, ammettiamolo.
Come i discepoli, anche noi avremmo optato per un’altra soluzione: perché non immaginare uno staterello governato da Gesù in cui rifugiarsi da questo mondo infausto e rissoso? Gli apostoli, in effetti, sono tutti esaltati: ora che il grande spavento è passato e hanno finalmente capito con chi hanno a che fare, sperano in un qualche posto da sottosegretario (i nostri politici hanno imparato da qui?). Ve l’immaginate? Commenti al vangelo scritti da chi ha pronunciato quelle parole! Niente più mediazioni, niente più fragili interpretazioni, niente più cattolicesimi contrapposti.
Insomma, questa storia di Gesù che se ne va a me proprio non va giù.
E invece.
Nei vangeli la resurrezione, l’ascensione e la pentecoste compongono uno stesso quadro, un identico evento. Gesù, risorgendo, è già presso il Padre e dona lo Spirito. Gesù, che siede alla destra del Padre, non è più vincolato dal tempo e dallo spazio e può dire con verità: io sono con voi per sempre.
Benvenuti nella logica di Dio.
Come Elia
Il racconto di Luca prende ampiamente spunto dall’ascensione di Elia, una pagina molto conosciuta in Israele e punto di riferimento anche per i neo-convertiti. Troviamo il racconto dell’ascensione di Elia nel secondo libro dei Re: il grande profeta viene rapito in cielo sopra un carro di fuoco, sparisce fra le nubi e il suo discepolo, Eliseo, ha la certezza di ricevere almeno una parte dello spirito profetico, avendolo visto sparire.
Luca descrive l’evento dell’ascensione usando lo stesso paradigma: le nubi, simbolo dell’incontro con Dio (ricordate il Sinai? O il Tabor?), i due uomini che richiamano i due angeli testimoni della resurrezione, il bianco delle vesti, segno del mondo divino…
Il cuore del racconto non è, quindi, la descrizione di un prodigio, ma la descrizione di una consegna: come Eliseo riceve lo spirito della profezia da parte di Elia, così gli apostoli ricevono il mandato dell’annuncio da parte del Risorto.
L’ascensione segna l’inizio del tempo della Chiesa.
Uffa.
Cielo e terra
Sono gli angeli a dare la chiave interpretativa dell’evento: non guardate il cielo, guardate in terra, guardate la concretezza dell’annuncio.
I discepoli del risorto sono chiamati ad annunciarlo, finché egli venga, a renderlo presente. La Chiesa, allora, diventa il luogo dell’incontro privilegiato col risorto, e assolve il suo compito solo quando rende presente il vangelo.
Matteo ci dice come.
Dubitarono
Diversamente da Luca, Matteo situa l’addio in Galilea, su di un monte.
Monte che rappresenta il luogo dell’esperienza divina: solo chi l’ha incontrato può raccontarlo con credibilità.
E in Galilea: il luogo della frontiera, del meticciato, del confine. La terra che per prima è caduta sotto l’invasore, gli assiri, allora, e che è sopravissuta fra vicissitudini e compromessi, ben lontani dal rigore richiesto dai puri di Gerusalemme! Ai tempi di Gesù dare del galileoad una persona era un insulto! La Galilea, però, è anche il luogo dove tutto è iniziato, il luogo dell’incontro, dell’innamoramento: solo attingendo alle esperienze che ci hanno convertito possiamo annunciare con verità il Signore.
Ecco cosa significa non guardare il cielo: partire dalla povertà della mia parrocchia, dal senso di disagio che provo nel vivere in un paese rissoso e partigiano (mi racconta un’amica milanese di essere stata verbalmente aggredita da una gruppo di cristiani che fuori dalla chiesa sostenevano un candidato sindaco!), dall’impressione di vivere alla fine di un Impero che crolla pesantemente sotto un cumulo di verbosità.
Qui siamo chiamati a realizzare il Regno, a rendere presente la speranza.
Qui, in questa Chiesa fragile, in un mondo fragile.
Ma che Dio ama.
Allora non stupisce il dubbio dei discepoli, che è il nostro.
Non è una Chiesa muscolosa quella che annuncia con verità, ma autentica e in conversione.
Il dubbio è un atteggiamento fondamentale per il credente, essenziale per la crescita.
L’ateo è sommerso dai dubbi, il credente li fugge.
All’ateo Gesù si propone come verità.
Al credente come l’innovatore.
E ci rassicura: non siamo soli, egli è con noi.
È iniziato il tempo della Chiesa, fatta di uomini fragili che hanno fatto esperienza di Dio e lo raccontano nella Galilea delle genti.
La smettiamo di lamentarci e ci rimbocchiamo le maniche?