Fabio Quadrini – Commento al Vangelo di domenica 11 Aprile 2021

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In altre occasioni abbiamo commentato questo “Vangelo di Risurrezione”.
In un primo incontro abbiamo evidenziato l’aspetto del “mandare” (cf. MANDATO), mentre in un secondo appuntamento ci siamo soffermati sulla figura di Tommaso (cf. TENDI LA TUA MANO E METTILA NEL MIO FIANCO).

Quest’oggi vorremmo dedicarci alla circonlocuzione, che troviamo ripetuta due volte in due differenti versetti: «stette in mezzo» (Gv 20, 19.26).
Gesù, invero, senza che alcuna porta chiusa fosse in grado di bloccarlo (cf. Gv 20, 19.26), si presenta trionfante al cospetto dei suoi discepoli, i quali improvvisamente e con immane stupore si trovano a contemplare, in mezzo a loro, la *Gloria del Risorto.
Ma se affermassimo che la pericope odierna è “Vangelo di Crocifissione”, il lettore griderebbe allo scandalo?

L’espressione «stette in mezzo» nel greco originario del testo evangelico di Gv 20 è resa con éste («stette») èis («in/verso») tò méson («il mezzo»).

Tuttavia è innegabile come questa formula rimandi fortemente al luogo del Cranio (cf. Gv 19, 17), «dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo» (Gv 19, 18).
Ma questo rimando al Gòlgota non è solo un parallelo sonoro o figurativo, ma è vero e proprio richiamo sostanziale, anzi oseremmo dire un vero e proprio calco.

Il greco originario di Gv 19, 18 è così: «dove lo crocifissero (estaúrosan) e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo (méson)».

Recuperiamo, quindi, le due espressioni in sinossi:
1- éste èis tò méson (Gv 20, 19.26)
2-estaúrosan méson (Gv 19, 18)

Ebbene, circa il «mezzo» (méson) non ci sono dubbi che sia esattamente lo stesso termine.
Il problema sorge con riguardo alla relazione tra i due verbi: in Gv 20, 19.26, infatti, abbiamo ístemi («stare», da cui la coniugazione éste), mentre in Gv 19, 18 abbiamo stauróo («crocifiggere», da cui la coniugazione estaúrosan).
Che relazione sussiste, allora, tra questi due verbi, dato che hanno chiaramente due significati diversi?

In realtà, con una secca affermazione, potremmo tranquillamente dire che i verbi ístemi e stauróo sono la stessa cosa.
Difatti entrambi provengono dalla medesima radice lessicale √sthau/sthu che intende esattamente «stare dritto» (cf. FISSARONO).
Ma non basta.
Il verbo ístemi è esattamente il verbo che intende «risorgere» (an-ístemi – cf. Gv 20, 9), ovvero il verbo da cui viene il termine Risurrezione (anástasis – cf. Gv 11, 25).

Molto interessante, quindi, come l’espressione del Vangelo di oggi si possa teologicamente tradurre con:
1-«[Venne Gesù] risorse/risuscitò in mezzo», ma anche «[Venne Gesù] si rese crocifisso in mezzo» (Gv 20, 19.26). -Tanto è vero che nel dialogo con Tommaso, Gesù Risorto «stette in mezzo» esattamente Crocifisso, coi segni della Crocifissione (cf. Gv 20, 26-29)
Ma lo stesso “gioco esegetico” si potrebbe rendere anche per l’altro versetto:
2-«dove lo crocifissero (ma anche «dove risuscitò») e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo» (Gv 19, 18). -Tanto è vero che «Gòlgota» viene dalla radice ebraica √galàl che significa «rotolare»: così come il rotolare di Risurrezione della pietra del sepolcro (cf. Mt 28, 2; Mc 16, 3-4. Cf. GALILEA)

Ecco, allora, come Croce e Risurrezione arrivino ad essere propriamente la stessa cosa.
Non poteva esserci Risurrezione senza Croce.
Così come ogni croce, accolta, finanche amata, nel nome del Signore, conduce certamente alla risurrezione.

*Un’ultima osservazione.
All’inizio di questo nostro commento abbiamo evidenziato l’espressione Gloria del Risorto.
Ma seguendo il sillogismo tra Risurrezione e Croce che abbiamo indicato, la domanda logica che sorge è: c’è quindi Gloria anche in Croce, sulla Croce?

Ebbene, proprio nel Vangelo secondo Giovanni la Croce di Gesù è esattamente un trono di Gloria.
Infatti in Gv 12 troviamo puntualmente Gesù che, alludendo alla Crocifissione, dice: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 23-24).

Inoltre, l’ultima parola detta da Gesù in Croce, nel Vangelo secondo Giovanni, è: «È compiuto!» (Gv 19, 30) che non è pronuncia di disfatta, ma di pienezza; di pieno e glorioso trionfo.

In merito, poi, al termine «Gloria» (fortemente connesso alla Risurrezione), risulta molto interessante come in ebraico questa parola sia kavòd, la quale viene dalla radice √kavèd che letteralmente intende un senso diametralmente opposto, ovvero «essere pesante» (fortemente connesso alla Croce).

Ebbene, tutte le Scritture sembrano propriamente impostate su continui “rimbalzi” contraddittori e incomprensibile: il Signore, che perdona la colpa ma castiga la colpa (cf. Es 34. 6-7), da Lógos che è si è fatto carne, vero Dio e vero Uomo (cf. Gv 1, 14), affinché tramite la morte trionfasse la vita eterna; tramite l’umiliazione della Croce il mondo potesse conoscere l’esaltazione della Risurrezione (cf. Fil 2, 8-9).

Ma tutto ciò non è incongruenza, bensì grandezza, la Grandezza di Dio: Egli che dà la sua vita per poi riprenderla di nuovo (cf. Gv 10, 17); Egli che ci lascia udire due parole, quando ne pronuncia solamente una (cf. Sal 62, 12).

Fonte

Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.wordpress.com/category/sindone/