Guai a colui che tradirà il Figlio dell’uomo.
A parte i preparativi, di cui erano stati incaricati i discepoli, per preparare la cena pasquale per Gesù e i suoi, tutto il brano di oggi è attraversato dal tradimento di Giuda, il quale passa all’azione subito dopo l’unzione di Betània, che lo avevano sentito protestare contro lo spreco di profumo, non perché gli interessassero i poveri, ma perché era ladro.
Soltanto l’evangelista Matteo specifica la somma di trenta sìcli d’argento, che Giuda ha ricevuto per la consegna di Gesù: una somma irrisoria, stimata dalla legge come prezzo di uno schiavo e che il profeta Zaccaria aveva già indicato come prezzo di valore per il pastore messianico. Nonostante l’iniziativa di Giuda anche per Matteo è Gesù che dispone liberamente di se stesso. Nessuna resistenza per sottrarsi a questa passione così ignominiosa. Il mistero di pazienza di Cristo, che diventa non violenza assoluta, non è comprensibile se non alla luce della forza dell’amore. “Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici.
E mentre mangiavano, disse: uno di voi mi tradirà”. Ne viene una costernazione generale. La cena di festa si cambia in un tormento che agghiaccia l’assemblea, inducendo ciascuno di loro, per liberarsi da questo incubo, a fare al Signore una confessione personale. “Sono forse io, Signore?” Il Maestro, colui che era il punto di sicurezza di ognuno, lascia sospesa la risposta, solo alla domanda di Giuda, risponde: “Tu l’hai detto”. Non è una condanna, e da amico, Gesù gli fa capire quello che ha nel cuore di fare.
La storia è diretta da Dio, secondo il piano delle Scritture; ma l’uomo ha il suo compito nella storia e ne è pienamente responsabile. Anche noi potremmo chiederci a quale prezzo vendiamo il Cristo: interrogarci sulla purezza della nostra fede, sulla fedeltà del nostro amore, sulla lealtà della nostra amicizia e fraternità che possiamo anche, non sia mai, barattare.
Monaci Benedettini Silvestrini
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