Siamo nel cuore della cena e in una scena che prospetta l’esatto contrario di quanto è appena accaduto: all’amore e al servizio del maestro si oppongono la menzogna e l’infedeltà dei discepoli, molto ben significata da quell’”Era notte”.
Come accostare questa pagina? Anzitutto convincendoci di un fatto: che tutti noi siamo sempre capaci di tradire l’amicizia con Gesù. Eppure l’Agnello del nostro riscatto è venuto ad assumere su di sé anche questo tradimento. Anche il nostro tradimento può essere vinto da un progetto di Dio più grande del nostro peccato.
Uno di voi mi tradirà: in un attimo sembra che il cammino compiuto con Gesù fino a questo momento non abbia alcun senso. I discepoli si saranno ben interrogati: che cosa sta accadendo? Eppure Gesù prevede il tradimento per assicurarci che anche esso ha un senso: il senso del suo amore per noi, che risplende ancor più luminosamente di fronte al fatto che a tradirlo non sarà un estraneo ma uno dei suoi.
È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò: intingere il boccone è, nella Bibbia, un segno di alleanza, di ospitalità. È un gesto che dice la volontà di comunione che anima il maestro persino di fronte a chi lo tradirà. Giuda, in fondo, è un uomo lasciato solo. Anche Giuda si pentì come Pietro: Ho peccato perché ho tradito sangue innocente (cfr. Mt 27). E aveva riportato persino la sua piccola fortuna: le trenta monete.
E che cosa si ritrova se non un: veditela tu, che ci riguarda? da parte degli uomini della religione. È una vera e propria condanna: veditela tu. Gesù ha affrontato la morte perché all’uomo disperato possa essere recata una buona notizia e non gli si dica più: Veditela tu. A Giuda manca l’unica parola necessaria, una parola di perdono, di quel perdono che è vita. Gli è mancata l’umiltà di lasciarsi incrociare dallo sguardo del Maestro, che è stato la fortuna di Pietro. Credeva di averla fatta troppo grossa (come dargli torto, del resto?) per meritare una simile opportunità. Non aveva compreso che nulla – neppure il suo tradimento – avrebbe potuto mai separarlo da colui che pochi istanti prima gli aveva lavato i piedi non con acqua soltanto ma con la lavanda della tenerezza e dell’amore.
Non canterà il gallo…
Una grande passione abita il cuore di Pietro: riuscire a fare qualcosa per Gesù. Tuttavia, proprio non riesce ad accettare che Gesù possa fare qualcosa per lui. Pietro fatica ad accettare la propria condizione di povertà e il relativo bisogno di salvezza. È il classico tipo che ritiene di non aver bisogno, di essere migliore: se tutti dovessero… io no…
Pietro non è soltanto presuntuoso: egli è animato da amore, da amicizia. È sincero quando si dichiara pronto a dare la vita. Quante volte anche noi all’interno di una relazione, di un’amicizia ci diciamo pronti a fare per l’altro tutto quanto è necessario: non è in fondo quello che una coppia promette nell’istante in cui si dice disposta a giocare la vita l’uno per l’altro e l’uno con l’altro nel giorno del matrimonio? Ci abita una sincerità di fondo quando facciamo dichiarazioni del genere. Tuttavia, però, non sempre siamo sufficientemente consapevoli della nostra fragilità. Pur essendo sinceri non siamo veri: ci sfugge, cioè, una reale lettura e comprensione di noi. Gesù chiede a Pietro un passaggio: dalla sincerità alla verità. In quell’istante, infatti, Pietro ignorava le sue zone d’ombra più nascoste e la sua inconfessata debolezza.
Gesù gli fa capire che egli non è migliore degli altri, anche lui può conoscere l’ora dello smarrimento più pieno. Pietro deve comprendere che non si dà la possibilità di essere annunciatori del vangelo senza aver fatto personalmente l’esperienza della misericordia di Dio e senza una capacità di comprensione e di compassione verso i limiti dei propri fratelli nella comunità cristiana e fuori da essa.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM