Commento al Vangelo del 28 Marzo 2021 – p. Raniero Cantalamessa

La domenica delle Palme è l’unica occasione, in tutto l’anno, in cui si ascolta per intero il racconto evangelico della passione. Il dato che più colpisce, leggendo la passione secondo Marco è il rilievo dato al tradimento di Pietro. Esso è prima annunciato da Gesù nell’ultima cena, poi descritto in tutto il suo umiliante svolgimento.

Questa insistenza è significativa, perché Marco era una specie di segretario di Pietro e scrisse il suo Vangelo mettendo insieme i ricordi e le informazioni che gli venivano proprio da lui. È stato dunque Pietro stesso che ha divulgato la storia del suo tradimento. Ne ha fatto una specie di confessione pubblica. Nella gioia del perdono ritrovato, a Pietro non è importato niente del suo buon nome e della sua reputazione come capo degli apostoli. Ha voluto che nessuno di quelli che, in seguito, fossero caduti come lui disperasse del perdono.

Bisogna leggere la storia del rinnegamento di Pietro in parallelo con quella del tradimento di Giuda. Anche questo è preannunciato prima da Cristo nel cenacolo, poi consumato nel giardino degli ulivi. Di Pietro, si legge che Gesù passando «lo guardò» (Luca 22,61); con Giuda fece ancora di più: lo baciò. Ma l’esito fu ben diverso. Pietro, «uscito fuori, scoppiò a piangere»; Giuda, uscito fuori, andò a impiccarsi. Queste due storie non sono chiuse; continuano, ci riguardano da vicino. Quante volte dobbiamo dire di aver fatto come Pietro! Ci siamo trovati nella condizione di dar testimonianza delle nostre convinzioni cristiane e abbiamo preferito mimetizzarci per non correre pericoli, per non esporci. Abbiamo detto, con i fatti o con il nostro silenzio: «Non conosco questo Gesù di cui parlate!».

Anche la storia di Giuda, a pensarci bene, ci è tutt’altro che estranea. Don Primo Mazzolari tenne una predica famosa, un venerdì santo, su «nostro fratello Giuda», facendo vedere co¬me ognuno di noi avrebbe potuto essere al suo posto. Giu¬da vendette Gesù per trenta denari, e chi può dire di non averlo tradito a volte anche per molto meno? Tradimenti, certo, me¬no tragici del suo, ma aggravati dal fatto che noi sappiamo, meglio di Giuda, chi era Gesù. Proprio perché le due storie ci riguardano da vicino, dobbiamo vedere cos’è che fa la differenza tra l’una e l’altra: perché le due storie, di Pietro e di Giuda, finiscono in modo tanto diverso. Pietro ebbe rimorso di quello che aveva fatto, ma anche Giuda ebbe rimorso, tanto che gridò: «Ho tradito sangue innocente!» e restituì i trenta denari. Dov’è allora la differenza? In una cosa sola: Pietro ebbe fiducia nella misericordia di Cristo, Giuda no!

Sul Calvario, di nuovo, la stessa vicenda. I due ladroni hanno ugualmente peccato e si sono macchiati di crimini. Uno però maledice, insulta e muore disperato; l’altro grida: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno», e si sente rispondere da lui: «In verità ti dico: oggi sarai con me in paradiso» (Luca 23,43).

Fare la Pasqua significa fare una esperienza personale del¬la misericordia di Dio in Cristo. Una volta un bambino, a cui era stata raccontata la storia di Giuda, disse con il candore e la sapienza dei bambini: «Giuda ha sbagliato l’albero a cui impiccarsi: ha scelto un albero di fico». «E che cosa avrebbe dovuto scegliere?» gli chiede stupita la catechista. «Doveva appendersi al collo di Gesù!» Aveva ragione: se si fosse appeso al collo di Gesù, per chiedergli perdono, oggi sarebbe onorato come lo è san Pietro.

Conosciamo l’antico «precetto» della Chiesa: «Confessarsi una volta l’anno e comunicarsi almeno a Pasqua». Più che un obbligo, è un dono, un’offerta: è lì che ci si offre l’occasione di «appenderci al collo» di Gesù.

Fonte

Questo è un commento del 2018.

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