La parola di cui il Signore ci fa dono ci prende per mano per farci percepire il dolore che il Signore prova ogni volta che, avendo a che fare con lโuomo, รจ costretto a misurarsi con la durezza del suo cuore. In tal senso, รจ vero che Dio soffre una passione dโamore quando colui che รจ stato chiamato per vocazione ad essere interlocutore privilegiato di Dio stesso, finisce per scambiare la sua gloria con la figura di un toro che mangia erba (cfr. Sal 105). Quanto baratto nella nostra vita! Quanta svendita della nostra dignitร per qualcosa che vale ben poco! Ci prostriamo, senza neppure accorgerci, di fronte a qualsiasi cosa pur rivendicando adultitร e maturitร . Ogni volta che insorge la paura per qualcosa ecco comparire la tentazione di costruirsi un idolo.
Patiamo tutti sulla nostra pelle la fatica a stare a contatto con lโassenza, con il vuoto, con ciรฒ che non avevamo messo in conto, con lโalteritร : restiamo interiormente destabilizzati. Meglio venire a patti con le nostre paure e trovare lโanestetico di turno che si solito individuiamo in qualcosa che ci assomiglia e in cui รจ facile riconoscerci, una sorta di incarnazione del nostro delirio di onnipotenza.
Non รจ facile avere a che fare con lโaltro e con il suo modo di manifestarsi, sia esso Dio o chi ci sta di fronte. ร piรน facile dilatare noi stessi fino ad offuscare il volto dellโaltro. E, cosรฌ, invece di cogliere quale parola sia racchiusa per noi quando appunto siamo chiamati a fare esperienza della distanza rispetto a noi da parte di Dio o dellโaltro, preferiamo colmare quel vuoto con unโimmagine che ci assomigli e ci rassicuri.
Oggi, forse, siamo meno dozzinali del popolo dโIsraele e non arriviamo ad attribuire la nostra liberazione ad un vitello piuttosto grossolano. Altre sono le realtร che lo hanno rimpiazzato: il bisogno di riconoscimento, lโesercizio dispotico del potere, lโansia di restare sempre connessi con i moderni strumenti della comunicazione. Il contatto con il vuoto ci destabilizza e perciรฒ abbiamo bisogno di riempirlo con ciรฒ che secondo noi puรฒ rappresentare la via dโuscita. Finiamo cosรฌ per dare nomi altisonanti a realtร di cui conosciamo giร la loro inconsistenza. Ma, pur essendone consapevoli, preferiamo accontentarci della nostra piccola vita anzichรฉ lasciarci condurre dallo stesso Dio per i sentieri che egli va tracciando per noi.
A scribi e farisei allora, a noi oggi, Gesรน ripete: guai a concepire il rapporto con Dio come la proiezione dei nostri bisogni o delle nostre paure. Dio รจ altro, รจ oltre le nostre proiezioni e paure.
Dio parla a noi sempre, in modi diversi e non secondo le nostre aspettative. Il problema, al dire di Gesรน, รจ quanto davvero desideriamo โavere vitaโ. Quando questo desiderio รจ stato soffocato, nulla รจ piรน eloquente; quando, invece, questo desiderio รจ vivo e sincero, tutto diventa sacramento del Padre, persino lo stile dimesso del Figlio e lโesperienza contraddittoria e fallimentare della passione (come insegnerร la vicenda del centurione pagano).
Troviamo nella Parola odierna la tentazione a cui siamo continuamente sottoposti: la pretesa di ridimensionare il Signore e a farne lโopera delle proprie mani: โFacci un dio!โ. Il culto del vitello dโoro non si esprime come il passaggio al culto di un altro dio. La tentazione e il peccato di idolatria piรน insidiosi per il popolo di Dio non sono quelli di passare ad un altro dio, ma quello di dare dal basso una forma umana โ a misura dโuomo โ al Dio vivente. E Dio diventa cosรฌ una tangibile opera delle nostre mani, pretendendo di reinterpretarlo e di circoscriverlo in modo adeguato e definitivo nei nostri concetti e negli schemi delle nostre aspettative. ร sempre ricorrente la tentazione di non riconoscere e, perciรฒ, non accogliere, un Dio che si rivela nella leggerezza di un volto o attraverso una parola delicata e uno stile dimesso. ร sempre dietro lโangolo il rischio di non accettare un Dio che non si mostra con prove evidenti ma che fa appello alla fiducia del cuore. Cosa ce ne facciamo di un Dio cosรฌ? Troppo poco per essere rassicurati.
Il vitello dโoro รจ unโimmagine di forza che sโimpone. Tutte le volte che Dio ci fa entrare nellโesperienza del vuoto della sua presenza (era accaduto cosรฌ ad Israele che mal sopportava quel lungo permanere di Mosรจ sul monte), noi preferiamo scegliere soluzioni che riempiano quel vuoto finendo per attribuire alla prestanza di una statua dโoro lโelogio della liberazione. Facciamo fatica a stare a contatto con la dinamica dellโassenza in cui Dio ci fa entrare per vedere cosa cโรจ davvero nel nostro cuore.
Difficile il percorso verso la libertร : meglio accontentarsi della sicurezza delle cipolle dellโEgitto.
Ora comprendiamo cosรฌ perchรฉ Gesรน avesse chiesto a quel paralitico che da 38 anni era infermo: โVuoi guarire?โ.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM