Non mi ritengo un esperto di notti in bianco; fino a qualche tempo fa non mi era mai capitato di fare veramente fatica ad addormentarmi. Ad essere onesto, credo proprio che l’idea di restare sveglio anche di notte mi facesse un po’ paura. Per questo consideravo una vera fortuna quella di aver ricevuto in sorte un sonno “facile” e per di più “pesante”, profondo. Se il giorno era affollato da mille occupazioni e preoccupazioni, pieno di incertezze e tentennamenti, di rimpianti e paure, non vedevo l’ora che arrivasse sera per lasciare che l’oblio del sonno mettesse in pausa i pensieri. Forse potrei dire che, per qualche tempo, anche io sono stato tra quelli che «hanno amato più le tenebre che la luce», perché mi regalavano l’illusione di poter mettere a tacere quelle inquietudini cui io stesso faticavo a dare un nome.
Ma prima o poi arriva per tutti, ed è arrivato anche per me, il momento di sperimentare come talvolta il buio della notte non basti a far calare il sipario su ciò che si agita nel cuore dell’uomo. Anche Nicodemo, fariseo e capo dei giudei, un “maestro in Israele”, ne è testimone. Il vangelo ci racconta proprio della notte in cui egli decise di far emergere le mille domande che albergavano nel suo cuore, senza lasciare che fossero seppellite da tonnellate di false certezze; quella in cui, finalmente, non si accontentò più del “sentito dire”, né del giudizio altrui, ma scelse di incontrare Gesù faccia a faccia. Quella fu la notte che cambiò radicalmente tutta la sua vita.
Non lo fa in pieno giorno, aspetta che cali il buio. Forse sperava di passare inosservato, aveva timore che qualcuno potesse vederlo. La sua ricerca è appena agli inizi, si mostra imperfetta e timorosa, ma Gesù non si nega, non lo giudica. «Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Il fatto che tu sia nel buio, che tu viva il tempo del dubbio e dell’incertezza, non è preso da Dio a pretesto per puntarti il dito contro ed emettere la sentenza di condanna. È invece l’occasione propizia per farti assaporare la nostalgia della luce. Egli è capace di accogliere la fragilità, di plasmare la nostra argilla ancora informe.
«Dio infatti ha tanto amato il mondo», lo ha amato così com’è, anche se avvolto dalle tenebre. Per questo «ha mandato il Figlio». Eppure, proprio quel Figlio è costretto a constatare che, invece, «gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce». Quante volte anche noi, piuttosto che lasciarci accecare dallo splendore di Cristo che viene a rischiarare le notti del mondo, abbiamo preferito mettere la testa sotto il cuscino e imbottirci di tranquillanti, pur di ricadere in quel torpore che spegne ogni fremito, ogni ricerca.
Non è semplice ma, come Nicodemo, siamo chiamati a trovare il coraggio di abitare la notte, il tempo delle domande serie, quello in cui tutto viene rimesso in discussione. Si tratta di un passaggio necessario: «bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo». La luce vera, infatti, si mostra in maniera più chiara proprio nel momento di maggior buio, lì sulla croce.
A chi vive notti di inquietudine e non mette a tacere le domande del cuore, a chi non si accontenta di frasi fatte e risposte preconfezionate, a chi trova il coraggio di mettersi in cammino pur sentendosi ancora avvolto dalle tenebre, quando ancora “è notte alta”, Gesù mostra una strada nuova: quella della croce, della vita che si fa dono.
Nicodemo, che nella notte un po’ si era nascosto, saprà abitarla di nuovo, sotto la croce, quando «si fece buio su tutta la terra» (Mc 15,33). Proprio allora, mentre preparava il corpo di Gesù per la sepoltura (Gv 19,39-40) riuscì a scorgere i primi barlumi del nuovo giorno, la gloria che già splendeva oltre le tenebre.
AUTORE: don Umberto Guerriero
FONTE: #Vangeloasquarciagola (canale Telegram) – Sito