Fabio Quadrini – Commento al Vangelo di domenica 14 Marzo 2021

Può una cosa piccola essere male?

Lo straordinario passo evangelico odierno ci proietta all’interno del confronto avvenuto tra Gesù e Nicodemo, confronto, questo, di una profondissima portata esegetica ed escatologica.
Il nostro breve commento vuol prendere in considerazione un termine tratto dal versetto di Gv 3, 20:

«Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate».

Se qualcuno ci interrogasse, chiedendoci di argomentare a parole nostre il significato della parola «male», ciascuno di noi risponderebbe in svariati modi e con numerosi sinonimi, ma probabilmente a nessuno verrebbe in mente di rispondere: «Il male è ciò che è piccolo».
Anzi, verosimilmente a tutti verrebbe facile il parallelismo con il contrario: il male è ciò che è borioso, ciò che è gonfio; è tutto ciò che è vanagloria, che altro non è se non super-bia.
Eppure, il versetto evangelico che abbiamo sopra riportato letteralmente varrebbe così:

«Chiunque infatti fa cose piccole, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate».

Il termine adoperato nel greco originario è un aggettivo, ovvero faũlos.
Con tale termine si indica tecnicamente una «cosa da nulla/piccola/semplice/di poco conto».
Il tutto sembra una contraddizione in termini, anche per il fatto che l’insegnamento di Gesù è pienamente rivolto ai “semplici”, agli “umili” (faũlos, tra l’altro, in merito a persone, intende esattamente «persona umile/modesta»).

Proviamo a riflettere su queste apparenti discordanze, tenendo ferme dinanzi a noi due immagini: il seme e la serpe.
Entrambi sono “piccoli”, sono “umili” (dal latino humilis, ovvero «basso/vicino alla terra»), eppure dell’uno se ne decanta la bontà, mentre dell’altra è risaputa l’estrema pericolosità fino al punto da farla divenire figurazione propria del male.
Ebbene, che differenza c’è tra il piccolo ed umile seme -«se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24) e la piccola ed umile serpe -che, in salvo dal leone e dall’orso, al riparo entro le sicure e certe mura domestiche, morde letalmente la mano appoggiata al muro (cf. Am 5, 19)?
Il seme muore, mentre la serpe è morte;
il seme dà la vita, mentre la serpe si avvinghia alla propria vita;
il seme riconosce la sua piccolezza e la sua umiltà fino a terra, fin sotto terra, e si abbandona e rimette all’intervento che il Signore porrà sopra di lui e in lui (cf. Gv 3, 21b), mentre la serpe, in astio alla sua misera condizione, la adopera per insinuarsi nelle minuzie per farsi grande da sé con la sola sua opera.
Ma la grandezza del seme sarà un germoglio che cresce e che va «verso la luce» (cf. Gv 3, 21a), mentre la sola grandezza a cui potrà aspirare la serpe potremmo definirla “residuale”, poiché essa non diverrà mai grande per crescita, bensì potrà essere grande solo quando avrà eliminato ogni altro essere.

serpe verde

L’umiltà del Seme, invero, è tapeinóo («abbassamento/obbedienza» alla volontà del Padre – cf. Mt 11, 29. 23, 12; Lc 1, 52. 14, 11. 18, 14; Fil 2, 8), mentre solo quella della Serpe è propriamente faũlos (umiltà intesa, nella sua sfumatura semantica, come «sciocchezza/insulsità») -Accesi dibattiti esistono tra gli studiosi circa il motivo che spinse Saulo di Tarso a cambiar nome, assumendo quello di Paolo. È da notare, tuttavia, come possiamo certamente far derivare dall’aggettivo faũlos il latino paulus («poco/insufficiente/piccolo»), da cui il nome proprio «Paolo». Chissà se l’ “Apostolo” decise appositamente di scegliere il suo nuovo nome proprio per tenere a monito per sempre, con immenso atto di umiltà, il tempo buio che precedette la sua famosa caduta, caduta (tecnicamente un atto motorio di “abbassamento”) che gli permise di passare dalla cecità (in ogni senso) alla contemplazione della Luce (cf. Gv 3, 19-21). In merito alla serpe e alla sua “piccolezza”, poi, è rilevante come proprio nel nostro momento storico riusciamo a cogliere, a ben comprendere e a sperimentare come un qualcosa di piccolo, un «nonnulla» invisibile e intangibile (se lo dovessimo dire in greco sarebbe esattamente faũlos) possa essere effettivamente e concretamente apportatore di «male»: e questa cosa da nulla è chiamata virus, che tecnicamente significa, dal latino, «veleno/secrezione velenosa di serpenti»

coronavirus_covid_19

Invero, la pericope evangelica odierna sembra giocarsi tutta sulla sottigliezza fonetica tra ófis («serpente» – cf. Gv 3, 14) e fõs («luce» – cf. Gv 3, 19-21), così come sulle sottigliezze si gioca tutta la nostra fede, sottigliezze in cui si insinuano l’astuzia e gli scimmiottamenti del Serpente, egli che è dia-bolos («colui che si mette di traverso/che divide») mentre il Signore è sym-bolon («mettere insieme/unire» – cf. Gv 17, 21-23); egli che ci spinge a scegliere Bar-abba (letteralmente «figlio del padre». In alcuni codici si riferisce come questi si chiamasse esattamente Gesù Barabba) al posto di Gesù il Figlio del Padre (cf. Mt 16, 16. 26, 63-64) -Sulla scia di tutto quanto abbiamo riferito, è interessante come in ebraico il termine «peccato» si dica hattà, la cui radice √ht’ tecnicamente vale «mancare il bersaglio», mentre, invece, Toràh provenga dalla radice √yrh che intende precisamente «lanciare/tirare (con l’arco)/colpire/andare a segno»

Fonte

Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.wordpress.com/category/sindone/


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