Prima lettura 2Cronache 36,14-16.19-23
dal Salmo 136/137
Seconda lettura Efesini 2,4-10
Vangelo Giovanni 3, 14-21
Peccato e salvezza, questo è il tema delle letture di oggi. L’uomo e gli uomini commettono il peccato, così Dio, che li ama, è costretto a cercare i modi per salvarli. Il peccato infatti è origine di morte, trascina chi lo commette verso la propria infelicità, rende l’uomo debole e lo mette in balia di forze che, con l’apparenza di benessere e di libertà, lo rendono schiavo e lo degradano fino a rovinarlo del tutto. L’uomo non riesce a salvarsi dal vortice in cui precipita con il peccato, nè riesce a salvare gli altri. È Dio che si occupa della sua salvezza, perché ama le sue creature, nonostante la loro disubbidienza. Gli interventi di Dio per condurre alla salvezza devono portare al ravvedimento, alla conversione. Spesso non bastano le parole, perché gli uomini talora sono così incalliti nel male che si beffano dei profeti di Dio, e allora Dio si vede obbligato ad agire come un chirurgo. È l’argomento della prima lettura, che interpreta la deportazione del popolo a Babilonia come il modo forte usato da Dio per far ritornare a sè il popolo e rimetterlo sulla strada della vita. Lo fa anche se gli uomini stessi potrebbero interpretare questo suo amore come castigo.
San Paolo ci fa notare come la salvezza di Dio sia gratuita: è la salvezza ottenutaci dal Signore Gesù. In noi era già all’opera la morte, perché siamo nati nella famiglia di Adamo, famiglia di peccatori che trasmette ai suoi figli, come un’eredità, la condizione di lontananza dal Padre. Ci è bastato rivolgere uno sguardo fiducioso verso Gesù Cristo, ed ecco, siamo stati salvati. Una vita nuova è entrata in noi, grazie a Gesù! La vita nuova si esprime con opere “buone”, quelle che mettono in luce l’amore del Padre, la bontà di Dio!
Anche Gesù parla della salvezza e della vita nuova nel suo colloquio notturno a tu per tu con Nicodemo. L’uomo vive già di per sè una situazione infelice, che possiamo chiamare anche di condanna, benché non abbia commesso delitti particolari: chi non accoglie Gesù, il Figlio di Dio mandato da lui, è privo della luce e della bellezza della vita di abbandono al Padre, privo di comunione e di serenità, privo di pienezza e di luce. Anche oggi gli uomini sono come gli israeliti morsi dai serpenti nel deserto: sono destinati ad una vita avvelenata dall’egoismo, da quell’egoismo che continua a generare frutti di morte. Mosè aveva innalzato un serpente per ordine di Dio: chi con umile fede avesse compiuto un gesto di fede semplice e facile guardando quel serpente di rame, sarebbe rimasto in vita. Ora il Figlio di Dio ha innalzato se stesso, perché chiunque lo guardi con umile fede, lo ascolti, ne imiti l’amore e lo ami, costui comincerà a percorrere una strada che lo porterà a guarire da quell’egoismo che lo trascinerebbe sulla strada della morte, e a gustare sempre più e con sempre maggior forza la vita.
Anche tu ti accorgi di cominciare a vivere quando cominci a credere in Gesù, quando accogli Gesù innalzato sulla croce, e ancor più quando ti fai suo compagno sulla via dell’amore che costa. Egli dà significato a tutti i tuoi passi, a tutto ciò che capita nella tua vita e a tutti i momenti che finora non hai capito e non hai potuto accogliere.
Sulla terra sono sempre presenti coloro che odiano la luce e preferiscono le tenebre. Questi fanno il male e si nascondono; essi continuano ad innalzare il Figlio di Dio, continuano a crocifiggerlo, eppure, senza saperlo, hanno bisogno di lui. Quando guarderanno alla sua croce con umile amore, allora giungeranno alla luce, e si accorgeranno di essere approdati alla verità: con gioia diranno il loro grazie, per aver trovato il sicuro appoggio alla propria vita e la strada per salvare anche i loro fratelli, i loro cari, tutta l’umanità.