Tra responsabilità e spensieratezza…
Ci aveva messi in guardia: fatevi amici con la disonesta ricchezza perché essi vi accolgano nelle dimore eterne. L’abisso di cui parla Abramo è possibile varcarlo solo nella misura in cui lo hai varcato qui, in vita, prendendoti cura di qualcuno, tessendo relazioni di amicizia.
La nostra storia potrebbe essere letta da tanti versanti. Uno di questi è quello di chi nel corso dei secoli ha alzato la voce contro la smemoratezza del cuore, la sclerocardia. La pagina evangelica odierna è appunto un grido contro l’ostentazione di sicurezza che finisce per essere tradotta come evasione da ogni responsabilità.
Può accadere di guardare e non vedere. I segni ci sono ma non li vedi, le voci ci sono ma non le senti. Accadeva ai tempi di Gesù e accade ai nostri tempi. Accadeva al ricco epulone e accade anche a noi che magari non vestiamo di porpora e bisso e non banchettiamo lautamente ma nondimeno preferiamo rinchiuderci in un mondo autoreferenziale, tra la magia del possedere che ci affascina e il vuoto della spensieratezza che ci seduce. E l’altro? L’altro, questo sconosciuto. Accade, infatti, che una sorta di smemoratezza finisca per impedire non solo gli occhi del nostro corpo ma raggeli ogni sorta di sentimento facendoci diventare cinici (aveva cinque fratelli di cui si ricorderà quando sarà troppo tardi). È come se davvero il passato abbia nulla da dirci e noi ci ritroviamo a giocare una partita impari tra responsabilità e spensieratezza.
Ora, al dire di Gesù, ci si salva nella misura in cui accettiamo di aprire gli occhi e di non distogliere lo sguardo da ciò che ci sta attorno. Salvezza come apertura degli occhi, consapevoli che il tempo a nostra disposizione è un tempo circoscritto: le occasioni non sono infinite e non è detto che una voce ancora si levi a svegliarci dal torpore in cui siamo caduti.
Non ci sembri minaccioso un simile linguaggio: dietro affermazioni come quelle riportate dalla Parola odierna c’è soltanto una lucida visione del reale. Ma si sa: non c’è avvertimento che tenga per chi non vuol capire.
I beni – afferma Gesù – non poche volte spersonalizzano la persona, le rubano persino il nome – come al ricco del racconto –, fanno razzia del suo cuore. La conseguenza inevitabile è che l’uomo perda la sua identità e la sua dignità e divenga un epulone, aggettivo dispregiativo che sta a indicare un uomo ridotto a macchina che produce e consuma senza sosta, una sorta di animale da ingrasso come testimonia il Sal 48: ma l’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono.
“La tristezza più grande, alla fine della vita, – sosteneva Raoul Follerau – sarà quella di accorgersi di non essere stati utili a nessuno”.
Impara dunque – ripete Gesù – a condividere la tavola della solidarietà in vita se non vorrai vedere rovesciata la tua condizione dopo la morte. La salvezza, infatti, è legata al qui ed ora della tua esistenza e ha sempre a che fare con il modo in cui ti relazioni a uomini e a cose.
Presta attenzione: potresti perderti senza neppure accorgertene. Non restare insensibile a un appello di umanità: in fondo che cos’è il mendicare di un povero alla tua porta se non un invito per te a mostrarti uomo? Non abdicare a questo compito di umanità. Non far sì che la tua autosufficienza finisca per farti trascorrere la vita rincorrendo una serie di autogiustificazioni. Paradossale ma vero: il mondo di epulone è un mondo bloccato, non così quello di Lazzaro. C’è una chiusura e una incomunicabilità che se prima ti isolano in una sorta di mondo felice poi finiscono per diventare la tua stessa prigione. E neanche se uno risuscitasse dai morti ci sarebbe disponibilità a mettersi in discussione. Per aprire gli occhi, infatti, non sono necessarie le visioni: bastano le orecchie…
Non c’è Dio, infatti, non c’è uomo, non c’è morto che parla, in grado di distogliere chi vive ciecamente la spensierata e folle corsa della bramosia che conduce alla distruzione del mondo che ci si è costruiti. Chi non ama rimane nella morte (1Gv 3,14), per sempre.
Tra responsabilità e spensieratezza: la partita può essere vinta nel versante della responsabilità se solo cominci a guardare a chi sta alla porta della tua casa.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM