Il commento al Vangelo di domenica 7 Marzo 2021 – Anno B, a cura di Paolo Curtaz. Qui di seguito il testo ed il video.
Purificando il tempio
Ci siamo nel deserto, da un anno.
E questa quaresima, per avere senso, deve far diventare questo deserto un esodo, una fioritura, un tempo di innamoramento, non di dispersione come accaduto al popolo di Israele, incapace di vivere nella libertà acquisita dopo la fuga dall’Egitto. Rischiamo di vivere questo deserto da schiavi, liberati ma non ancora liberi.
La bellezza ci guida nel deserto e lo Spirito ci spinge ad uscire, per diventare, in Cristo, dei nuovi Adamo capaci di stare con le fiere, la parte violenta di noi stessi finalmente riconciliata e di essere condotti dagli angeli che ci accompagnano all’albero della vita custodito nell’Eden.
Ma per farlo, per riuscire davvero a non essere annichiliti da questa torbida pandemia che sta fiaccando le nostre speranze e spegnendo la voglia di vivere, dobbiamo avere il coraggio di superare la tentazione. Le tante tentazioni.
Come quella di stravolgere il volto di Dio.
È il tempo opportuno, qui, adesso, per purificare le idee che abbiamo su Dio.
Nel tempio
A noi appare una cosa strana ma i mercanti e cambiavalute svolgevano un compito importante! Era vietato l’uso delle monete romane nel tempio (per via del volto dell’Imperatore che veniva interpretata come idolatria) e non si poteva partire da lontano tirandosi dietro una pecora o un bue! Perciò cambiavalute e venditori di animali erano essenziali anche se l’ambiente doveva sembrare un vero zoo… Perché, allora, il Maestro si irrita così profondamente?
Si tratta di scacciare una determinata idea di Dio e del culto.
Gesù non vuole che mercanteggiamo con Dio, il Padre che sa bene di cosa abbiamo bisogno…
Nelle intenzioni di Giovanni questo episodio, come quello di Cana intende richiamare l’essenziale: lo Sposo vuole ricondurre la sposa, Israele, la Chiesa, alla natura profonda e spirituale nel rapporto con Dio, che esula dal rito cruento, dal gesto liturgico che spesso confina col magico.
Abbiamo necessità assoluta di porre dei gesti significativi che ritmino il nostro agire, il calendario, gli eventi (e qui ci sarebbe da dire sulla banalizzazione delle nostre liturgie) ma, nel contempo tali gesti diventano inutili se non conducono a Dio.
Il tempio deve tornare alla sua funziona originaria: luogo dell’incontro con Dio. Sarà Gesù stesso a diventare tempio, dopo la sua resurrezione. In lui abita la shekinah di Dio.
Che questo tempo di frammentazione delle nostre assemblee, di celebrazioni ibride, distanti, sofferte ci riportino a scoprire l’immenso valore del tempio che è Cristo in mezzo a noi!
Reazioni
Di fronte al gesto di Gesù le reazioni sono diverse.
Giovanni è l’unico a esplicitare i commenti dei presenti, cosa che non avviene nei Sinottici in quali registrano solo il gesto senza commento.
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà.
Sul serio “i discepoli”? più probabilmente i discepoli dopo la resurrezione e citano il salmo 69 con un cambio del tempo verbale (mi ha divorato nel testo originale) che forse proietta l’episodio alla Passione. Quello che certamente ha colpito i discepoli in quel momento è il gesto profetico (come i tanti, spesso incomprensibili, di Geremia) e la forza, la convinzione, la passione che vedono nel Signore.
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?».
Nemmeno ai giudei sfugge la portata profetica del gesto provocatorio! Ma chiedono di verificare la provenienza del gesto. Il problema del discernimento fra i veri e i falsi profeti è sempre stato un problema in Israele, ma la richiesta del “segno” nei vangeli equivale ad esigere un miracolo spettacolare che dispensa dalle fede!
Davanti ai gesti del Signore nella nostra vita possiamo avere chiavi di lettura diverse: di accoglienza e stupore o di scetticismo che ci spingono a chiedere veri e propri miracoli. Poniamo continuamente condizioni a Dio. La fede è fidarsi (cosa che non elimina il dubbio e la necessità di approfondire la nostra fede). Non si crede attraverso i segni ma riconoscendo il segno come manifestazione della presenza di Dio.
Distruggete
Distruggete questo tempio e io lo riedificherò
Possiamo distruggere il tempio, in noi, accanto a noi. Possiamo demolire pensando di conservare, di proteggere, di custodire. Se lasciamo che la vita interiore, la vita spirituale arretri, si ponga sullo sfondo della nostra predicazione, ad esempio, del nostro agire, corriamo il rischio di distruggere l’azione di Dio facendo prevale l’esteriorità, il culto autoreferenziale.
Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Giovanni da’ la sua interpretazione la chiave di lettura. Gesù, afferma dopo la resurrezione, parla del suo corpo che è diventato santuario. Il nuovo tempio ricostruito è nella presenza del corpo risorto e asceso al cielo di Gesù che si rende accessibile nella preghiera della comunità!
Per noi discepoli è Gesù risorto il nuovo santuario che custodisce la gloria di Dio, è lui che ci permette di accedere al Padre. Perciò l’idea di spazio sacro, di tempio, di chiesa per noi cristiani è legato alla presenza di Cristo.
Ripartiamo dalle nostre chiese come luogo che contengono una Chiesa, come spazio di silenzio e di interiorità è fondamentale. Ma, anche, la consapevolezza, specialmente in questi (difficili) tempi di Covid che il nostro corpo è luogo che accoglie Dio, che è tempio.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Ora è la fede pasquale dei discepoli a parlare. E l’interpretazione nasce da un ricordo, dal fare memoria:
Cosa ha finalmente capito la comunità?
Che lo zelo di Gesù per Dio lo porta alla morte, alla distruzione del suo corpo che dopo tre giorni resusciterà. La cosa appare impossibile da capire mentre Gesù parla ma i discepoli, dopo la sua resurrezione, la vivono in tutta la sua intensa verità.
Solo facendo memoria, solo nel ricordo della Parola, nel ruminare la Parola possiamo cogliere la profondità di quanto il Signore vuole dire alle nostre vite.
Coraggio, c’è del lavoro da fare…
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