Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.
Tre pagine segnano la seconda tappa del cammino di quaresima: una pagina di fede e di alleanza (la legatura di Isacco), una pagina di invito a vivere non per se stessi ma nello Spirito (Paolo ai Romani), una pagina di luce che illumina il cammino di Gesù e indica la Pasqua come dono di luce.
Nel cammino di Gesù che sarà la via della croce, la trasfigurazione è segno carico di annuncio e di speranza: prepara i discepoli allo scandalo della passione e morte di Gesù ed offre loro una luce per comprendere che proprio la via della croce è la via della risurrezione e della gloria. “fu trasfigurato”, dice Marco: Dio è il soggetto di questo evento di un volto luminoso. Non la metamorfosi di un dio che prende forme umane come nei racconti pagani, ma la lucentezza del volto umano di Gesù in cui traspare la presenza di Dio stesso.
Le vesti splendenti e bianche, come nessun lavandaio potrebbe renderle, sono il segno di una condizione celeste, di vicinanza unica a Dio. Accanto a Gesù sono i tre discepoli. Sta qui un indizio che rinvia alla passione e morte di Gesù perché i medesimi tre, i suoi più vicini, saranno con lui nell’orto del Getsemani (Mc 14,33) e si lasceranno prendere dal sonno nel momento della prova.
Mosè e di Elia invece sono personaggi del passato: di essi si attendeva il ritorno (cfr. Mal 3,22-24). Mosè, la grande guida dell’esodo ed Elia, profeta della fede, racchiudono nella loro presenza il riferimento all’intero cammino d’Israele alla storia di un’alleanza che non viene meno, all’unica storia della salvezza. Gesù va compreso all’interno di una storia in cui Dio si china e si fa vicino al suo popolo.
Di fronte allo splendore ed alla luce i discepoli sono presi dallo spavento. Pietro aveva riconosciuto in lui il Cristo ed era stato invitato a seguirlo. Ora propone di fare tre tende, con allusione alla festa ebraica delle capanne, che anticipa il riposo della fine dei tempi. Ma non è questo il momento della gioia e del riposo, è invece questo il tempo dell’ascolto. Inoltre la tenda rinvia al luogo della dimora: ora la dimora è la stessa umanità di Gesù, è lui nuova casa e luogo verso cui andare.
La nube che avvolge nell’ombra richiama la presenza di Dio nel deserto (Es 16,10; 24,18) e la voce dall’alto invita all’ascolto: “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo”. Come al momento del battesimo al Giordano la voce indica l’identità di Gesù il Figlio, l’amatissimo. Ora essa è rivolta ai discepoli e richiama all’ascolto (cfr. Dt 18,15). Sull’Oreb Dio si era comunicato a Mosè indicandogli le sue vie, ora su un monte alto – con allusione al monte del sacrificio d’Isacco – Gesù è manifestato come ‘il Figlio’. La voce richiama i discepoli a rivolgersi a lui e ad ascoltarlo lasciandosi coinvolgere.
Sul volto del servo sofferente che percorre la via della croce sono invitati a scorgere i tratti del Figlio amatissimo, lo svelamento del volto di Dio come amore. La trasfigurazione è dono di luce che fa scorgere il volto di Dio amore e rivela anche come la nostra esistenza può essere trasfigurata nell’ascolto di lui e della sua parola.