Mosè ed Elia raccontano Gesù
Quando la vita ci fa iniziare un’ascesa verso la cima di un alto monte, all’inizio non sappiamo se in cima ci attendono tre tende o tre croci. Non possiamo sapere se a dialogare con noi saranno due ladroni o Mosè ed Elia. Il mestiere del vivere, che si apprende lungo tutta l’esistenza, consiste nell’imparare a stare bene sia sui Tabor che sui Golgota.
In uno degli episodi centrali dei Vangeli, che la tradizione ha chiamato la Trasfigurazione, Pietro, Giovanni e Giacomo sono testimoni di una delle rivelazioni più forti dell’identità di Gesù, affidata alle parole della voce («Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!»), ma anche al nome degli interlocutori di Gesù. Ogni identità è un dialogo, è una relazione, è un bene relazionale, perché sono gli altri che rivelano a noi e agli altri chi siamo veramente.
Gesù si trova in mezzo a due figure amatissime dal popolo ebraico, Mosè icona della Legge ed Elia immagine della tradizione profetica – “la Legge e i profeti”. I due uomini che in qualche modo erano sfuggiti alla morte ordinaria di tutti. Elia fu rapito in cielo, e di Mosè non è mai stata trovata la tomba. Possono dialogare con Gesù perché, in un certo senso vero, erano ancora vivi.
Mosè ha avuto un rapporto tutto speciale con Dio, forse quello tra gli uomini che più lo ha conosciuto. La Bibbia lo chiama «amico di Dio» (Esodo 33,11). Per la tradizione midrashica, mentre Mosè esala l’ultimo respiro YHWH lo bacia sulla bocca, continuando FIno alla FIne quel dialogo «bocca a bocca» misterioso e unico. [… continua al leggere il commento su Famiglia Cristiana …]