Una voce suggerisce un progetto, un’idea, una sistemazione risolutiva. Voce non messa alla prova dell’amore. Per ottenere quell’obiettivo non ci si interroga troppo su mezzi, strumenti, sensatezza dei passaggi intermedi․․․ Diventa una roba mia, di cui non parlo con nessun amico. O solo con quelli che per qualche motivo non fanno domande troppo scomode, fanno fatica a vivere con noi un confronto intimo. Quella prospettiva diventa un modo per conquistare il mondo. Il nostro modo per dimostrare che ce l’abbiamo fatta. Dimostrarlo al mondo, a un parente, a un nemico, a noi stessi. E prende forme così tante e così diverse che non sembra più partire dalla stessa radice, quella voce che grida dal profondo: “salva te stesso!”.
Gesù sa che abbiamo bisogno di trovare un senso alla nostra vita. Ma vede anche che gli ronziamo attorno da un po’. Una nostalgia piena di speranza ci rende interessati alle sue parole, alla sua vita. Gesù ci provoca ad una sequela più consapevole, più radicale. Ci invita a condividere la sua fiducia nel Padre, fiducia nel suo regno che viene. Potremmo iniziare a non preoccuparci di “salvarci noi stessi”.
Potremmo provare a non sprecare nessuna occasione di amore. Senza paure, senza proteggerci. E quando ci accorgessimo che abbiamo amato male o poco, semplicemente riconoscerlo e chiedere perdono, riprendendo il cammino, umilmente, fino alla fine. Amare senza secondi fini. Senza accumulare punti da nessuna parte. Provare a seguire l’amore che ci precede. Dal punto preciso in cui siamo, lì dove la vita chiama. Gratificazioni come fini a se stessi, limiti e rifiuti, anche violenti, non sono più il criterio, se il terzo giorno è preparato per noi.
Matteo Suffritti SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato