“Genitori in chat: suggerimenti e consigli pratici per non “rovinare” la vita dei propri figli”: è questo il titolo del Tutorial WeCa di questa settimana. Partiamo dalla cornice.
Essere genitori, seguire i propri figli organizzando reti sociali funzionali, gestire i tempi e le attività, favorire la loro crescita è particolarmente complesso al tempo dei social e della conversazione sempre aperta.
La domanda che ci facciamo è la seguente: WhatsApp supporta o complica questo compito? Funziona in termini di sostegno oppure rende le relazioni tra genitori – e spesso anche tra i figli – più difficili da tenere insieme?
Si tratta di una domanda che sorge spontanea leggendo le cronache quotidiane e seguendo alcune conversazioni spontanee: chat di classe, non solo del ciclo attuale ma anche dei cicli precedenti, del gruppo sportivo, del catechismo, del gruppo del mare, ma potremmo aggiungere molti altri esempi. Troppi spazi da gestire, considerando la routine quotidiana.
“Nuovo anno scolastico, ripartono le chat dei genitori: alcuni consigli utili”, titolava così Orizzonte Scuola a inizio settembre; “Scuola, come sopravvivere alle chat dei genitori su WhatsApp”, titolava il Corriere della Sera a inizio anno scolastico; “Liti e malintesi, perché va detto basta alle chat dei genitori”, diceva Repubblica lo scorso anno; “Comune vieta la chat dei genitori”, riprende Vanity Fair in un articolo del 2018. Sono solo alcuni dei titoli più eloquenti.
Guardando i dati, “HootSuite/We are Social” ci consegna una fotografia chiara: WhatsApp è l’applicazione più popolare in base ai download e agli utenti attivi ogni mese, la terza piattaforma social in classifica e la prima applicazione messenger, raggiungendo il 95,1% di tutti gli utenti delle app di messaggistica.
Ma quali sono le derive possibili in una chat di classe o di gruppo?
Possiamo evidenziare almeno cinque temi che derivano dal tipo di formato e dal modo di comunicare proprio della messaggistica istantanea multi-linguaggio (testo scritto, immagini, gif, video):
- La comunicazione molti-a-molti non è una soluzione sempre valida. Spesso la soluzione – più che è un messaggio “urbi et orbi” – è una chiamata privata, un caffè davanti a scuola, una veloce conversazione vis-a-vis, oppure una chat personale per fugare dubbi, discutere di episodi accaduti in classe e confrontarsi. Il tema è riconducibile alla questione della privacy, per cui vicende e fatti privati diventano oggetto di interesse pubblico, ma anche alla considerazione dei gruppi WhatsApp come concentrato di opinioni e vissuti personali molto diversi e a volte discordanti. Il rischio quindi è di non risolvere la situazione, alimentando ulteriori dubbi e coinvolgendo persone non interessate.
- La comunicazione in chat è spesso un flusso di coscienza, ha un inizio e non ha una fine ben precisa, si tratta – quasi alla Joyce – di una lunga e infinita catena di pensieri, che hanno senso se letti nel momento in cui vengono scritti. Quando, al contrario, sono ripresi a distanza di qualche ora diventano un semplice ammasso di righe di testo. Lo sconforto che si prova aprendo un gruppo WhatsApp e vedendo 200 messaggi è decisamente alto e soprattutto porta alla sconsolata considerazione della sua inutilità. In questo senso potremmo dire: “less is more”, meno è meglio.
- La comunicazione in chat è spesso ridondante e caotica, frutto di momenti di pausa o distrazione, non sempre legata ai precedenti temi. Non si tratta infatti di un forum organizzati in conversazioni in parallelo moderate da un tutor, ma di un grande contenitore dove tutto, in qualsiasi ora del giorno e della notte, viene comunicato da tutti.
- Emoticons ed emoji non sempre, se mal utilizzate, riescono a compensare l’assenza dello sguardo, tipico della comunicazione in presenza. Il rischio di essere fraintesi è alto, serve quindi una grande disciplina e la conoscenza minima del significato delle icone a disposizione oltre alla tastiera alfanumerica. Scrivere in italiano corretto è ancora un valore.
- La comunicazione in chat è multi-tematica, rischia di esserlo per l’informalità del canale. Spesso, infatti, si parla della verifica di storia, ma anche del laboratorio di arte che si svolge davanti alla scuola, della festa di un compagno e del nuovo ristorante che hanno aperto nel quartiere, del nuovo film della Pixar, delle maestre e degli insegnanti. Un “melting pot” tematico che disorienta.
Quali indicazioni?
Riprendendo i cinque punti, e per sintesi, potremmo dire:
- prima di scrivere in chat, rifletti sui destinatari reali: chi sono le persone direttamente coinvolte nella comunicazione? Una mamma? Solo un gruppo ristretto o tutti i genitori? Scegli sulla base del destinatario il tipo di formato comunicativo: chat allargata, piccolo gruppo, telefonata, caffè, conversazione sul portone della scuola.
- prima di inondare la chat con il tuo messaggio, cerca di sintetizzarlo e cerca di capire in che modo può davvero contribuire al discorso. Scrivi solo se serve e concentra in poche battute il tuo pensiero, evitando vocali di dieci minuti alle 3 di notte.
- Partecipa solo se puoi contribuire e se il tuo messaggio funziona nell’ambito della conversazione, altrimenti meglio il silenzio.
- Usa le emoticon e le emoji con parsimonia, usa la punteggiatura (solo perché si è in chat non si deve dimenticare la grammatica italiana) per spiegarti bene e nel caso di incomprensioni non reagire in maniera disordinata e soprattutto offensiva. Pensa prima di scrivere, principio cardine ai temi dei social, quando informalità, velocità e pervasività dei media digitali (che non hanno un tempo di apertura e chiusura come gli esercizi commerciali) segnano il nostro modo di comunicare 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, spesso mentre svolgiamo altre azioni contemporaneamente (essere multitasking non è necessariamente funzionale, a volte serve “prendersi del tempo”).
- Le chat funzionano davvero quando sono tematicamente orientate, prima di scrivere pensa se si tratta di un contributo pertinente, altrimenti scegli un altro momento e spazio per dirlo. Da usare con moderazione, potremmo dire, o utilizzando la figura del rappresentante di classe come “mediatore” sensibile.
La logica è educativa: non possiamo riprendere i nostri figli davanti agli schermi degli smartphone se anche noi abusiamo delle chat e della disponibilità dei canali di comunicazione, senza rispettare le regole minime della relazione e del confronto civile.
Testo a cura di Alessandra Carenzio.