La più grande schiavitù a cui siamo sottoposti è quella dello sguardo: siamo tutti bisognosi di sentirci guardati. Non è un problema di vanità, è innanzitutto un bisogno latente di sentirci vivi solo nella misura in cui gli altri si accorgono di noi.
Se tutto questo è umano, con il passare del tempo, non accorgendoci di questa spinta interiore, possiamo rischiare di sottomettere tutta la nostra esistenza al solo bisogno di essere ammirati. Tutto, allora, è fatto solo per attirare l’attenzione e non più per il motivo vero per cui ogni cosa andrebbe fatta.
Persino la vita spirituale, che dovrebbe essere lo spazio di autenticità più importante della nostra vita, può trasformarsi in una farsa. Ecco allora che il mercoledì santo ci fa entrare nel grande tempo dell’autenticità, facendoci sperimentare tre grandi luoghi dove possiamo imparare a disintossicarci dal bisogno di essere visti per recuperare il bisogno di essere veri.
Elemosina, preghiera e digiuno sono il grande alfabeto che ci offre la quaresima per prepararci all’incontro con la Pasqua. Nessuno, infatti, può risorgere se non accetta di morire a ciò che lo imprigiona. La prima prigione da rompere è quella del proprio io. Esso, infatti, ci fa vivere sempre concentrati su noi stessi, sui nostri bisogni, sulle nostre convinzioni, sulle nostre emozioni, eclissando quasi sempre l’altro, chi ci sta accanto, il nostro prossimo.
Nell’esercizio dell’elemosina noi ci impegniamo a non avere più come priorità il nostro io, ma a fare entrare la grande variabile del tu. La seconda prigione è quella dell’autosufficienza, cioè del pensare di bastare a se stessi. È la preghiera che ci ricolloca nella maniera giusta, relativizzandoci. Infatti nella preghiera ci accorgiamo che Dio esiste e che non siamo noi.
E questa notizia è liberante perché ci riconcilia con i nostri limiti. La terza e ultima prigione da cui liberarci è quella delle nostre mancanze. Passiamo la vita a riempire i nostri vuoti, ma solo digiunando da questo riempimento troveremo finalmente una via d’uscita.
AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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