La prima lettura e il Vangelo hanno in comune il problema del lebbroso, allo stesso tempo, però si differenziano in alcuni aspetti. La prima lettura focalizza l’attenzione sull’emarginazione sociale del lebbroso obbligato “ad abitare fuori dell’accampamento”, vestendosi ad un certo modo e considerandosi impuro, nel Vangelo, Gesù non solo si lascia avvicinare e toccare dal lebbroso, ma egli stesso tocca il lebbroso mostrando che Dio non vuole più barriere ed esclusioni tra il puro e l’ impuro e si avvicina all’uomo nella sua povertà per salvarlo.
È impuro, se ne starà solo e abiterà fuori dell’accampamento
La pagina del Levitico descrive la condizione sociale del lebbroso: uomo escluso ed emarginato della società perché, appunto, impuro, il quale era considerato pericoloso e doveva essere evitato. Due le caratteristiche: essere solo e vivere fuori dai luoghi abitati, lui stesso, doveva evitare di entrare in contatto con gli altri. Non doveva abitare in una casa, ma “fuori dell’accampamento”, molto appartato, vivere da solo come se fosse morto. Inoltre, doveva assumere alcune caratteristiche dispregiative: “vesti strappate”, il capo scoperto, velato fino al labbro superiore e, addirittura, gridare “impuro, impuro”. Questo modo di essere lo comprendiamo meglio pensando alla situazione di Miryam, sorella di Mosè, era considerata morta, (Nm 12,12) quando ebbe la lebbra. La lebbra era la morte. Così, erano esclusi e emarginati dalla casa, dalla comunità e dalla società, il lebbroso, ma, come accennato, non destava compassione poiché era ormai morto, ma nel brano del Vangelo, Gesù, davanti ad un lebbroso che vuole essere guarito, “ne ebbe compassione, tese la mano e lo toccò”.
“Ne ebbe compassione, tese la mano e lo toccò “
La narrazione evangelica descrive due persone coraggiose e controcorrente: il lebbroso e Gesù.
Quanto al lebbroso, seppur perfettamente a conoscenza della sua situazione e delle conseguenti restrizioni a cui è sottoposto per legge, si avvicina coraggiosamente a Gesù, si inginocchia e grida invocando la purificazione. È una rottura completa: doveva essere da solo e fuori dell’accampamento ma egli va incontro a Gesù che certamente è accompagnato da altre persone; avrebbe dovuto andare da un sacerdote, ma va dal figlio del falegname; alcuni ammalati gridano o implorano utilizzando un titolo messianico “Signore”, oppure “maestro” oppure “Cristo”, ma egli dice soltanto “se vuoi, puoi purificarmi” questa richiesta rende palese la sua fede. Sarebbe stato costretto almeno a gridare “impuro, impuro”, ma il lebbroso ha il coraggio di trasgredire la legge per essere “purificato” e l’umiltà di riconoscere che da solo non avrebbe potuto fare nulla e che solo Gesù avrebbe potuto fare qualcosa: “se vuoi, puoi purificarmi”. Egli non chiede la cura ma di essere purificato. Ricordiamo che, secondo 2 Cr 23,6, era solo Dio l’unico che poteva guarire la lebbra, ma ai lebbrosi era impedito di andare da Dio, di partecipare al culto. Il nostro lebbroso chiede che sia ristabilito il suo rapporto con Dio, che sia accolto da Dio, che sia ancora degno di Dio. Chiede di essere purificato per ristabilire la sua vera comunione con Dio e con i fratelli, di non essere più solo, ma in comunione con il prossimo. Per questo bisogna avere il coraggio di accettare ed affrontare la personale condizione di lebbroso, di avere il coraggio di rifiutare la lebbra. Solo con questo coraggio, posso avere la spinta di uscire da me ed andare verso Gesù non per imporre il mio volere ma il suo.
Dall’altra parte abbiamo anche Gesù che trasgredisce la legge per il bene della persona, Egli si lascia avvicinare e compie un grande gesto: lo tocca. Ma l’Evangelista, prima di descrivere i gesti di Gesù, sottolinea anzitutto il sentimento profondo di Gesù al vedere il lebbroso: “ne ebbe compassione”, sentimento che nel Nuovo Testamento, viene attribuito solo a Dio e di Gesù esprime la tenerezza. Avere compassione è un verbo che caratterizza l’attività missionaria di Gesù in mezzo alla gente, Papa Francesco, all’inizio della Bolla di indizione “Misericordiae Vultus” afferma che Gesù Cristo è il volto della misericordia di Dio. Gesù, camminando tra la gente, durante il suo ministero, vede la sofferenza umana alla quale risponde con una grande effusione di compassione, al vedere il lebbroso, egli ebbe compassione e poi agì: tese la mano e lo toccò.
Per ristabilire la comunione con l’uomo che gli si è avvicinato, Gesù tende la mano e questo è “segno che richiama immediatamente alla prossimità, alla solidarietà, all’amore.”, la mano di Gesù è tesa verso il povero uomo. Papa Francesco, nel messaggio della IV Domenica dei poveri afferma che “Tendere la mano fa scoprire, prima di tutto a chi lo fa, che dentro di noi esiste la capacità di compiere gesti che danno senso alla vita. Quante mani tese si vedono ogni giorno! Purtroppo, accade sempre più spesso che la fretta trascini in un vortice di indifferenza, al punto che non si sa più riconoscere il tanto bene che quotidianamente viene compiuto nel silenzio e con grande generosità”.
Altro gesto che Gesù compie è toccare, mentre la legge interdice il toccare un lebbroso, Gesù fa il contrario: lo tocca per mostrare il suo amore misericordioso. Lo fa come Dio poiché Dio dell’Antico Testamento stende la sua mano, in prima persona o attraverso i suoi inviati, per purificare, infondere sicurezza e coraggio. Gesù fa lo stesso: lo tocca per purificare. Il tatto è anche il senso dell’accoglienza.
Chiamato ad essere discepolo missionario che si avvicina, tendi la mano e tocca, come dice Papa Francesco: “in questi mesi, nei quali il mondo intero è stato come sopraffatto da un virus che ha portato dolore e morte, sconforto e smarrimento, quante mani tese abbiamo potuto vedere! La mano tesa del medico, la mano tesa dell’infermiera e dell’infermiere, la mano tesa di chi lavora nell’amministrazione e procura i mezzi per salvare quante più vite possibili …”
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