Qualche giorno fa abbiamo celebrato la giornata mondiale del malato. Oggi accostandoci alla parola di Dio siamo invitati a riflettere ancora sulle sofferenze procurate dalla malattia per comprendere come il Padre ci suggerisca di comportarci. Questa Parola ci fa intravedere il cammino necessario all’uomo per giungere al modo di guardare e di fare del Padre. L’ammalato che sospetta di essere lebbroso deve farsi autorizzare ad allontanarsi dalla comunione con gli altri uomini. Alla privazione della salute s’aggiunge la privazione degli affetti e delle comodità e difese sociali. Così ha comandato Mosè, che cerca di difendere il popolo dal contagio: la difesa è possibile solo con il controllo e l’emarginazione di chi già soffre. È il comportamento di chi sa di non avere altro modo per affrontare il disagio, il pericolo, la sofferenza. Chi non ha ancora avuto la rivelazione del Dio amore, non ha motivazioni nè capacità per affiancare il malato: si sente costretto ad emarginarlo e tenerlo lontano. Il mondo di oggi, il mondo senza Dio, che non conosce l’amore del Figlio, come rimedio alla sofferenza gli suggerirebbe pure o gli imporrebbe di esigere la morte cosiddetta dolce, l’eutanasia.
[? Leggi la Liturgia di domenica prossima]
Ma ecco Gesù che si muove a compassione davanti al lebbroso, benché disobbediente. Sì, è disobbediente, perché, stando alla Legge, dovrebbe allontanarsi, e invece si avvicina, certo di non essere rifiutato da Gesù. Egli sa già che Gesù è diverso dagli altri uomini. La sua certezza è un grande atto di fede, fede nella bontà e nella potenza dell’amore del Signore, che agisce sia con il tocco della mano che con la sua Parola. Infatti la Parola di Gesù allontana la lebbra, scioglie l’emarginazione del malato, lo toglie dal suo isolamento e allontana da lui la paura di essere maledetto da Dio. Ma la Parola della guarigione e il tocco della mano sono costati a Gesù l’essere egli stesso emarginato. Dovrà fare la sua quarantena, trascorrere delle giornate fuori, lontano dai villaggi.
Il Signore non si lamenta, affronta questa croce, la sua croce, per salvare noi dalle nostre reciproche emarginazioni. Queste possono provenire dalle malattie, ma anche da quel contagio che è l’egoismo, il nostro peccato, la disobbedienza alla Parola del Padre. Che cosa fa Gesù? Egli non guarda la malattia, ma il malato. Non guarda ciò che rende l’uomo repellente, ma l’uomo, e in lui vede l’immagine di Dio. Guardando l’uomo Gesù vede il disegno del Padre, che vuole la comunione tra gli uomini, tra tutti gli uomini. Per Gesù la malattia è un invito ad essere ancora più attento a colui che ha bisogno di essere amato perché arrivi a conoscere il Padre per gustarne l’amore. Perciò egli stende la mano e lo tocca, stabilisce un contatto, perché l’amore del Padre raggiunga il corpo, e, attraverso di esso, l’anima dell’uomo sofferente, che è tenuto lontano dagli uomini e perciò si sente lontano anche da Dio.
Oggi Gesù fa ancora così: lascia alla Chiesa il compito di “toccare” il nostro corpo malato con i suoi gesti, con la mano, con la sua Parola risanatrice: sono i santi sacramenti, che, pur che lo vogliamo, ci raggiungono in tutte le nostre situazioni e ci comunicano l’amore del Padre. Con questi segni la Chiesa offre a tutti salvezza, perché possiamo in ogni momento essere gloria di Dio e continuare ad avvolgere il mondo con il suo amore. Gesù è stato ubbidito dagli apostoli, e noi impariamo da loro, continuando la catena dei segni che donano all’uomo la tenerezza del Padre.
Proprio oggi San Paolo ci dice che qualsiasi nostra occupazione, persino le più quotidiane e banali, le più semplici come il bere e il mangiare, possiamo e dobbiamo compierle per la gloria di Dio. Questo significa che ogni nostra azione può essere compiuta in modo che manifesti l’amore del Padre e l’obbedienza del Figlio. Ogni nostro gesto diventerà occasione per lo Spirito Santo di effondersi da noi. Beviamo e mangiamo per mantenerci in forze per amare i fratelli. Lo scopo non è il piacere del bere e del mangiare, ma l’essere pronti al servizio per le persone che incontreremo. Incontreremo persone sane e persone malate, ma tutte bisognose di conoscere e di godere l’amore del Padre. Ci facciamo servitori di Gesù per guardare col sorriso e toccare con la mano i lebbrosi di oggi, cioè le persone lasciate sole, emarginate. La lebbra che isola ed emargina non è solo la malattia o il peccato di chi soffre, ma molto più l’indifferenza o l’egoismo di chi si disinteressa dei fratelli. Ogni cosa che facciamo, la faremo per la gloria di Dio, cioè con l’intento di manifestarlo e avvicinarlo a tutti.