Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 22 Gennaio 2021

L’alba di una comunità, di una fraternità, della chiesa, sta nella rapida sequenza di una chiamata libera e costitutiva, di un andare verso e presso Colui che chiama, in un movimento che è risposta e adesione, secondo una finalità delineata in modo netto e conciso: la compagnia dell’essere con Lui e l’invio che si connota per la duplice prospettiva della parola e del gesto, l’annuncio di salvezza e l’azione che fa indietreggiare il male.

È così che Gesù “fa” i Dodici, costituendoli nell’unità di un gruppo che raccoglie la molteplicità plurale di volti e nomi, di storie e provenienze, di luci e ombre.

Ciascuno porta il proprio nome, alcuni ne ricevono uno nuovo (cf. Ap 2,17), come la Gerusalemme del profeta Isaia che sarà “chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà” (Is 62,2). A Simone viene imposto il nome di Pietro (cf. v. 16), la roccia sulla quale la misericordia di Dio vuole edificare la sua chiesa (cf. Mt16,18); altri riceveranno “i nomi di Boanèrghes, cioè figli del tuono” (cf. v. 17), un titolo che accomuna due fratelli, paragonati ai fulmini, forse per il tratto impulsivo del loro carattere o per la loro ambizione (cf. Mc 10,35-45; Mt 20,20-24); di uno già si dice che sarà il traditore del Maestro, colui che lo consegnerà a un destino di passione e di morte (cf. v. 19).

Questa pluralità di nomi e di biografie, di doni e di limiti, di santi e peccatori riconciliati costituisce il sostrato di ogni esperienza ecclesiale, che è sempre polifonica, spesso auspicabilmente sinfonica, e talora umanamente dissonante e, a tratti, cacofonica.

E di questo elenco di nomi, nella loro varietà irriducibile, forse si ricordò anche Francesco d’Assisi, quando – richiesto di fornire l’identikit dell’autentico frate minore – disse che non poteva esserci un’unica figura esemplare, ma che la vera fraternità nasce dalla sintesi che riunisce in sé la vita e le attitudini di persone diverse: la fede di Bernardo, che la ebbe perfetta insieme con l’amore della povertà; la semplicità e la purità di Leone; la cortesia di Angelo, che fu adorno di ogni gentilezza e bontà; l’aspetto attraente e il buon senso di Masseo, con la dolcezza del suo parlare; la mente elevata nella contemplazione di Egidio; la preghiera incessante di Rufino, che pregava anche dormendo e in qualunque occupazione aveva incessantemente lo spirito unito al Signore; la pazienza di Ginepro, con la rinunzia alla propria volontà e con il desiderio di seguire il Cristo sulla via della croce; la robustezza fisica e spirituale di Giovanni delle Lodi, che a quel tempo sorpassò per vigoria tutti gli uomini; la carità di Ruggero, la cui vita e comportamento erano ardenti di amore; la santa inquietudine di Lucido, che, sempre all’erta, non voleva dimorare troppo a lungo nello stesso luogo, sapendo che la nostra stabile dimora è nei cieli (cf. Fonti francescane 1782).

Ecco la chiesa, un pugno di uomini che non hanno nulla di eccezionale né alcuna aura di perfezione, ma che forse avvertivano “la sfida di scoprire e trasmettere la ‘mistica’ di vivere insieme, di mescolarsi, di incontrarsi, di prendersi in braccio, di appoggiarsi, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio” (cf. Francesco, Evangelii gaudium 87).

fratel Emanuele


Fonte

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