DOMENICA «DELLE PRIME VOCAZIONI»
In questa Domenica che segue la festa del Battesimo del Signore il lezionario ci propone l’incontro dei primi discepoli con Gesù, secondo il racconto del quarto evangelo. Siamo nella settimana inaugurale della vita pubblica di Gesù (cf. Gv 1,19-2,12). Due giorni dopo l’interrogatorio di Giovanni il Battista da parte delle autorità sacerdotali venute da Gerusalemme, Gesù passa e cammina davanti a Giovanni e a due suoi discepoli. Fissando lo sguardo su Gesù, il Battista afferma: “Ecco, guardate l’Agnello di Dio!”. È una vera e propria presentazione di Gesù, l’indicazione che proprio lui è il Servo di Dio, l’Agnello pasquale che porta la liberazione al suo popolo (il termine aramaico talja contiene infatti entrambi questi significati). È ancora la figura del Battista che prevale nella lettura evangelica accanto a Gesù: questa volta pienamente inserita nel piano della salvezza. Di questa salvezza, il battesimo nel Giordano era stato il preludio. Ora il piano ecclesiale va delineandosi in modo più preciso: sia nella vocazione del giovane Samuele, che dimora giorno e notte nel tempio, tutto disponibilità alla chiamata del Signore e alla missione che gli verrà affidata; sia nella vocazione degli apostoli, chiamati a diventare pescatori di uomini, sia finalmente nella vocazione di Simone, che Gesù intende costituire «pietra e fondamento» della sua chiesa. Non deve apparire strana questa Domenica II del Ciclo B, che inserisce una pericope di Giovanni. Se si analizza con attenzione l’intera ufficiatura, il naturale di essa si coglie bene dal versetto del Salmo responsorio[1]: il Signore battezzato dal Padre con lo Spirito Santo entra nel suo ministero messianico «per fare la Volontà» paterna.
Dall’eucologia:
Antifona d’Ingresso Sal 65,4
Tutta la terra ti adori, o Dio, e inneggi a te:
inneggi al tuo nome, o Altissimo.
Con il Salmista l’assemblea canta al Signore la gioia riconoscente, perché Egli ha operato fatti potenti in favore del suo popolo, liberandolo dai nemici sia nell’esodo, sia nella patria. L’intera terra, e quindi tutti i suoi abitanti sono invitati ad adorare il Signore prostrandosi a riconoscerlo (v. 4a) e ad unirsi all’assemblea del popolo di Dio, Israele, per «recitare il Salmo», il canto innico tipico dei fedeli del Signore, acclamando il Nome divino indicibile (v. 4b).
Canto all’evangelo Gv 1,41.17b
Alleluia, alleluia.
«Abbiamo trovato il Messia»:
la grazia e la verità vennero per mezzo di lui.
Alleluia.
Col canto all’Evangelo (Gv 1,41.17b) la proclamazione evangelica odierna è orientata dalla prima scena vocazionale. Andrea corre dal fratello Simone per informarlo di avere trovato il Messia atteso, «il Cristo» (v. 41) e per portarlo a Lui. Tale annuncio risuona ancora per tutti i fedeli oggi. Poiché da Cristo Signore ricevettero tutto, a partire dal primo dono dello Spirito Santo, la Grazia e la Verità (v. 17b).
Dopo la festa del Battesimo di Gesù si entra nel tempo liturgico ordinario, ma come altre volte avevamo sottolineato che tempo ordinario non significa un tempo minore o secondario è altrettanto vero che le letture di oggi ci sono consegnate per ricordarci che nessun momento della nostra vita, della vita del mondo, deve essere ritenuto banale, privo di senso e di valore. Dio che chiama non ha bisogno di spazi particolari per farsi sentire; continuamente nell’ordinarietà della nostra vita ci invita a seguirlo. Tutti i fedeli sono chiamati «oggi qui» dal Signore, ad «andare e a vedere» nelle fede e nella sequela di carità verso Lui, fino alla Mensa domenicale, dove mangiando il Pane della Parola divina e partecipando ai Divini Misteri si diventa la Chiesa Sposa e Madre.
Oggi è la terza manifestazione di Gesù dopo l’Epifania e il Battesimo: Gesù è il Messia che adempie il piano della salvezza e chiama per la sequela del Regno. Le narrazioni di «vocazioni» sono senza dubbio da annoverare fra le pagine più toccanti e dense della Bibbia. Esse sono numerose nella Scrittura e tutte molto suggestive; si pensi ad es. all’essenzialità del racconto della chiamata di Abramo (Gen 12), al tono maestoso dei racconti della vocazione di Mosè (Es 3) e di Isaia (Is 6), al tocco palpitante di quello della vocazione di Geremia (Ger 1), ecc..
I lettura: 1 Sam 3,3b-10.19
La prima lettura di oggi è costituita esattamente da una narrazione di vocazione profetica, ma questa volta di tono molto intimo e tranquillo: quella di Samuele, personaggio di solito poco ricordato ma che ebbe grande rilevanza nella storia di Israele: fra l’altro guidò il passaggio dalla organizzazione tribale a quella monarchica.
Nella semplicità dello schema narrativo, con la triplice esatta ripetizione della chiamata e della risposta, il racconto tende a sottolineare la completa disponibilità di Samuele alla vocazione divina e alla sua fedele obbedienza nell’attività successiva.
Samuele, che la madre Anna consacra al Signore da prima che nascesse (1 Sam 1,11-28), è insieme sacerdote e profeta e giudice del suo popolo. Il Signore gli manifesta la sua vocazione quando ancora è un ragazzo (1 Sam 2,18-21). Ripete la chiamata nel santuario di Silo, 3 volte, di notte (vv. 3-9), e il ragazzo crede che sia la voce dell’anziano sacerdote Eli, che lo indirizza invece all’ascolto del Signore, con le parole: «Parla, Signore, poiché sta all’ascolto il servo tuo» (v. 9). E finalmente il Signore può comunicargli il suo messaggio (v. 10). E Samuele cresceva in grazia, e le Parole del Signore via via si realizzavano (v. 19).
Effettivamente qui abbiamo un quadro tipico di chiamata: tre volte viene ripetuto il nome di colui al quale Jahvé vuole affidare una missione particolare. Della chiamata c’è dunque tutta l’intimità, la conoscenza del nome, l’appello personale. Tuttavia questa scena non è sufficiente per esaurire l’importanza della figura di Samuele. Ciò che segue, dopo il versetto che abbiamo citato (3,10) non è in realtà una descrizione di vocazione, ma piuttosto un oracolo.
«Allora il Signore disse a Samuele: “Ecco io sto per fare in Israele una cosa tale che chiunque udrà ne avrà storditi gli orecchi. In quel giorno attuerò contro Eli quanto ho pronunziato riguardo alla sua casa, da cima a fondo. Gli ho annunziato che io avrei fatto vendetta della casa di lui per sempre, perché sapeva che i suoi figli disonoravano Dio e non li ha puniti. Per questo io giuro contro la casa di Eli: Non sarà mai espiata l’iniquità della casa di Eli né con sacrifici né con le offerte” I Sam 3, 11-14).
Se noi quindi ci fissassimo unicamente su questi brani avremmo sì, da una parte, una scena di chiamata; ma dall’altra avremmo un semplice oracolo consegnato al ragazzo: oracolo che egli deve riferire, e basta. La figura di Samuele è invece, dal punto di vista vocazionale, molto più ricca e significativa. Il problema è dunque quello di come riassumere in poche righe alcuni dei significati della figura di Samuele e dei problemi che essa pone alla nostra ricerca sulle figure di vocazioni bibliche.
Vi invito a considerare alcuni testi tra i capp. I e XXV del Primo Samuele, che costituiscono il materiale globale di questa vicenda. Questi capitoli sono un conglomerato di diverse tradizioni e trattano anche di molte altre cose. Possiamo individuare in questi capitoli quattro momenti fondamentali che ci possano rendere presente la figura di Samuele:
- il momento della preparazione (in I Sam 1-2);
- il momento della chiamata (in I Sam 3);
- un momento che possiamo definire come la prima fase dell’attività di Samuele: Samuele condottiero e giudice (in I Sam 7);
- infine quella che possiamo chiamare la seconda fase, cioè la fase della transizione e del declino (in I Sam 11.12.15).
Samuele non scompare dalla scena gloriosamente, bensì lentamente, viene meno, sfuma. Il racconto che lo ha messo in primo piano ad un certo punto, dopo il cap. VII, non lo considera più come la figura di primo piano: è un personaggio che praticamente riappare saltuariamente e di cui è detto, ora che si sta sottraendo davanti ai re, ora che interviene a sanare delle situazioni sbagliate. C’è poi un ultimo elemento, direi il più drammatico, del declino di Samuele: dopo che lui ha annunciato a Eli che sarebbe stato respinto perché i suoi figli erano ingiusti, vede che anche i suoi figli non sono accettati da Israele perché non operano bene.
Samuele è una figura che, compiuta l’opera di Dio, scompare nobilmente ma dolorosamente. La sua non è una vicenda in un progressivo crescendo, ma una serie di alti e bassi nei quali appare come un uomo abbandonato all’opera di Dio. Opera di cui Samuele non capisce immediatamente tutto, ma alla quale si adatta anche se essa non rispecchia pienamente i suoi desideri e lo ferisce nei suoi affetti più cari. C’è ancora un altro passo che ci conviene leggere per mettere in luce questa nobiltà e questo distacco d’animo di Samuele:
«Allora Samuele disse a tutto Israele: “Ecco ho ascoltato la vostra voce in tutto quello che mi avete chiesto e ho costituito su di voi un re. Da questo momento ecco il re procede davanti a voi. Quanto a me sono diventato vecchio e canuto e i miei figli eccoli tra di voi. Io ho vissuto dalla mia giovinezza fino a oggi sotto i vostri occhi. Eccomi, pronunciatevi a mio riguardo alla presenza del Signore e del suo consacrato. A chi ho portato via il bue? A chi ho portato via l’asino? Chi ho trattato con prepotenza? A chi ho fatto offesa? Da chi ho accettato un regalo per chiudere gli occhi a suo riguardo? Sono qui a restituire!”. Risposero: “Non ci hai trattato con prepotenza, né ci hai fatto offesa, né hai preso nulla da nessuno”. Egli soggiunse loro: “È testimonio il Signore contro di voi ed è testimonio oggi il suo consacrato, che non trovate niente in mano mia?”. Risposero: “Sì, è testimonio”» (I Sam 12,1-5).
Samuele è dunque l’uomo che ha servito con assoluto disinteresse l’opera di Dio, ed in cambio ha ricevuto ben poco: neppure un successo personale duraturo perché l’erede per sempre è Davide. Lui è semplicemente colui che indica la strada di Israele e non colui che ne porta in mano il destino futuro. La sua è una vicenda tipica di vocazione inserita nella complessità della storia della salvezza in cui l’uomo compie i disegni di Dio ed appare e scompare da quell’opera in funzione di essa. La sua figura è sotto molto aspetti una figura preparatoria, ma non per per questo meno indicativa.
Il brano dell’Evangelo di Giovanni che narra la vocazione dei primi discepoli di Gesù è riportato anche dai tre sinottici. Il racconto di Giovanni diverge profondamente dall’analoga narrazione dei sinottici; l’unica espressione giovannea che ha riscontro nel testo sinottico, è quella riguardante Andrea, fratello di Simone (cf. Gv 1,40; Mc 1,16; Mt 4,18) e la vocazione degli stessi. Dalla scarsa corrispondenza delle narrazioni sembra che Giovanni racconti dei fatti ignoti ai sinottici, in una prospettiva teologica propria.
Esaminiamo il brano
35 – «Il giorno dopo»: La pericope comincia con una datazione: «Il giorno dopo, di nuovo stava Giovanni» (v. 35a). Si è rimandati al «giorno prima», e di fatto al v. 29 si ha: «il giorno dopo Giovanni vede Gesù veniente a lui», e così si è ancora rimandati al giorno prima, e così al v. 19 si indica la testimonianza che Giovanni rende agli inviati da Gerusalemme su se stesso e soprattutto su Colui che viene (vv. 19-28). Allora si hanno qui 3 giorni, successivi (vv. 19. 29. 35a) e si può ridiscendere con ordine.
Infatti:
- al 1° giorno Giovanni testimonia Colui che viene;
- al 2° giorno Lo indica sotto due aspetti conseguenti: «Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo», ossia il Servo sofferente di Is 53,7-8 (v. 29), Colui sul quale lo Spirito inviato da Dio dimora (vv. 32 e 33), poiché sul Servo il Signore pose il suo Spirito (Is 42,1);
- al 3° giorno, decisivo, Giovanni sta «di nuovo con due discepoli» (v. 35) per la testimonianza e l’affidamento dei discepoli a Colui che viene.
36 – «fissando lo sguardo»: il verbo gr. ‘emblépein oltre al semplice guardare con attenzione, fissare, indica l’atto di guardare dentro, quasi penetrando nell’intimo dell’animo dell’osservato. Il Battista fissa Gesù come farà questi con Simone e con il giovane ricco, da lui amato (Mc 10,21).
Giovanni contempla «Gesù che passa» (v. 36a). E forse un passare qualunque, di un Gesù frettoloso? Giovanni è Profeta e scruta le Realtà divine, e “sa” perché Gesù “passa”: perché è Colui che viene, che cerca i suoi discepoli. Nei 4 Evangeli infatti, in unanimità da notare, quando il Signore chiama gli uomini al suo seguito per il necessario discepolato, si hanno sempre e solo 3 verbi: passa – guarda – chiama. Vedi qui le prime vocazioni: di Pietro e di Andrea, e di Giacomo e Giovanni in Mt 4,18-22, con il parallelo secondario in Mc 1,16-20; quella di Levi o Matteo in Lc 5,27-28. Giovanni “sa” altresì che Colui che viene passa, guarda e chiama un’unica volta. Lo avevano compreso i Padri, che contemplavano questo tratto con terrore: «Io ho paura di Gesù che passa e non ritorna» (S. Agostino).
«Ecco l’agnello di Dio»: la ripetizione della solenne proclamazione da parte del Battista non ha solo la funzione di sottolineare l’importanza di questo titolo messianico (il sistema sacrificale era talmente familiare agli ebrei che le parole del Battista non necessitavano di nessuna spiegazione), ma di preparare e favorire la vocazione dei suoi due discepoli. Giovanni ai due discepoli ancora anonimi “indica” Gesù come il Servo sofferente, con la «formula di rivelazione», che con l’”Ecco” è anche «formula del prodigio» divino: «Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo» (v. 36b). Parla così come al «2° giorno», e rimanda ancora in modo esplicito al Servo sofferente di Is 53,7-8.
37 – «due dei suoi discepoli»: l’autore ci informa in maniera esplicita che il Battista aveva dei discepoli. Ai suoi discepoli Lo aveva già preannunciato. E infatti l’Evangelista annota in modo lapidario: «E ascoltarono lui che parlava, i due discepoli, e seguirono Gesù» (v. 37). Due verbi fondanti: “ascoltare” biblicamente significa “obbedire”. Giovanni come maestro buono, efficace e autorevole ha persuaso i suoi discepoli, e questi obbediscono alla sua volontà di affidarli all’Agnello di Dio. Inoltre, «seguirono Gesù» indica la sequela definitiva, dei discepoli nuovi, seguire ormai per sempre un altro Maestro, quello divino.
«udirono»: anche qui il vocabolo gr. ekousan indica non soltanto la percezione del suono materiale delle parole, ma la comprensione del significato, come dimostrerà il loro contegno immediato.
38 – «voltatosi»: Gesù si volta indietro quasi a vedere se le parole del Battista hanno avuto qualche effetto. La scena è trattata con una vivacità e un verismo tali, che suppone una testimonianza oculare.
«e visto»: nella folla che non ha una particolare direzione nei suoi movimenti, quei due sono chiaramente individuabili, poiché si dirigono verso di lui, che si ferma ad attenderli.
«cosa cercate»: lett. zeteite può indicare cercare e volere, è un aramaismo che possiamo tradurre meglio con bramare, desiderare.
La prima parola che Gesù pronuncia nell’evangelo di Giovanni è una domanda che pone a bruciapelo ai due che lo stanno seguendo: che cosa cercate! È questa una domanda importante che tende a scavare le intenzioni più intime; l’evangelista la sceglie con cura e la riproporrà ancora due volte nel corso del suo racconto:
- all’inizio della sua passione, Gesù chiede per due volte a coloro che sono venuti ad arrestarlo nel giardino: «Chi cercate?» (18,4.7);
- la stessa domanda ripete il Risorto al mattino di Pasqua, quando vuole scuotere la Maddalena piangente: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (20,15).
La richiesta non è banale; anzi nel modo di procedere dell’evangelista Giovanni è molto seria. È la domanda che va al cuore dell’intenzione e mira a svelare la reale disponibilità della persona: si può infatti cercare Gesù per accoglierlo come il Messia ma anche per arrestarlo come un delinquente; lo si può cercare come un morto da compiangere o come il Vivente da cui essere salvati.
«dove abiti?»: anche la risposta dei discepoli non è una banale richiesta dell’indirizzo; ma piuttosto «qual è la tua posizione e la tua consistenza?». Il verbo greco méno (=rimanere) utilizzato è molto importante nel linguaggio teologico di Giovanni. Potremmo tradurre letteralmente: «Dove rimani?»; la risposta Gesù la darà in seguito (leggi ad es. il discorso sulla vera vite; in Gv 15,4: « rimanete in me e io i voi») quando i discepoli fatta l’esperienza di stare con lui lo accoglieranno nella loro vita, nel loro cuore.
39 – «venite e vedete»: imp. presente positivo; l’invito di Gesù interpreta il desiderio dei due.
«rimasero con lui»: Questo contatto personale con Gesù è di grande importanza nella vita dei discepoli perchè è da ciò che nasce la fede nel Messia.
«l’ora decima»: nei LXX le 4 pomeridiane. questa precisazione cronologica è un probabile indizio che l’evangelista fu testimone degli eventi ma può avere anche un significato simbolico. Il 4° evangelista spesso si diletta di precisare il tempo degli avvenimenti importanti ai quali probabilmente prese parte: ora sesta la samaritana al pozzo (4,6); ora settima la febbre lascia il figlio del funzionario regio (4,52); ecc….
a) Se il giorno è venerdì, come sembra probabile, i due rimasero da Gesù anche il sabato: si suppone che la conversazione sia stata abbastanza lunga da far arrivare il crepuscolo, quando cominciava il sabato e quindi i due non potevano probabilmente tornare a casa, distante più del cammino permesso in sabato.
b) sacrificio vespertino…
c) morte e rivelazione…
40 «uno dei due…»: finalmente Giovanni fa conoscere i nomi dei due primi discepoli così stranamente chiamati: Andrea fratello di Simone Pietro, e un altro. Questi sono i primi due discepoli, che “ascoltarono – obbedirono Giovanni [il Precursore e Profeta e Battista] e Lo seguirono.
41 – «incontrò per primo»: il vocabolo gr. euriskei non significa incontrare per caso, ma trovare ciò che si cerca; indica perciò un incontro intenzionale.
Presi per intero dal Signore, Andrea a sua volta va e con gesto di carità fraterna “cerca” anzitutto il proprio fratello, Simone, e gli comunica la grande notizia: «Noi trovammo il Messia». Qui questo termine ebraico antico che è tradotto da Giovanni in greco, ed esplicitato: “il Cristo”, “l’Unto di Dio” tanto atteso.
«Simone»: in ebraico significa “docile all’ascolto“. Andrea infatti lo conduce a Gesù, e Simone “il docile” si lascia condurre. Dallo Spirito Santo dopo la Pentecoste si lascerà condurre a proclamare alle folle in attesa Cristo Signore Risorto (At 2,1-4, e 13-36), e a battezzarle (At 2,38). Anche da anziano si lascerà condurre alla morte per glorificare Dio, secondo la tremenda profezia del Signore Risorto (Gv 21,18-19).
Gesù riceve dunque anche Simone, il terzo discepolo. Era passato, adesso lo guarda e lo chiama. In aramaico galilaico, la lingua usuale, Gesù parla: «Tu [sei] Simone, figlio di Iona, tu ti chiamerai Kepa». E segue l’interpretazione: Ke’pâ’ (Kefa) significa infatti Roccia, Pietra, Pietro. Il rimando esegetico certo è a Mt 16,18, quando il Signore con Pétros, “la Pietra”, insomma con Pietro edificherà la “sua Chiesa”. Ma qui deve impressionare il fatto evidente: la mutazione del nome di una persona, e l’imposizione di un altro nome. Pietro è accettato da Gesù perché ormai, per elezione divina imperscrutabile, ormai lo ha fatto definitivamente “suo”, e quindi sulla persona di Pietro, in tutto quello che Pietro è e che sarà, Gesù vanta il diritto totale come Signore e Creatore, che crea un uomo nuovo, per plasmarlo piano piano per il suo Disegno. Simone, “il docile”, accetta di essere “la Pietra” contro cui si scateneranno fino alla fine le terrificanti forze dell’inferno. Pietro ancora non sa tutto questo. Ma anche quando con la sua morte glorificò Dio (Gv 21,19), quelle forze non prevalsero.
Piccola riflessione
Tanti elementi della storia di Samuele richiamano quella di Giovanni: sterilità e preghiera della madre, nascita di un profeta che si ripercuote immediatamente nella vita del tempio; poi il cantico di Anna, preludio di quello di Maria, che «esalterà la potenza del suo messia», e finalmente il cantico di Zaccaria che intuisce in Giovanni colui che «darà al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei peccati».
La missione dei due profeti segna una svolta profonda nell’ambiente in cui si muovono. Rarità della profezia e quindi della comunicazione diretta con Dio al tempo di Samuele, che a giusto titolo sarà chiamato il primo dei profeti (cf. Atti 3,24); attesa del liberatore, di colui «che ristabilirà Israele» all’epoca di Giovanni, l’ultimo dei profeti, che addita ai suoi discepoli il messia venuto. Non sono forse questi due punti, inizio e coronamento del piano profetico, che le letture ci propongono oggi? Sullo sfondo dei due profeti, si delinea un piano manifestamente ecclesiale.
«Venite e vedete». Una vocazione personale che chiama per nome ciascuno degli apostoli e li attira fuori dal loro ambiente abituale; un invito a vedere, cioè a riflettere e a pesare quell’opera di redenzione che andava svolgendosi sotto i loro occhi. E poi quel «rimanere con lui», che nell’imprecisione dei termini lascia adito alle più svariate interpretazioni: può farci pensare all’intimità della contemplazione; ma, forse con più probabilità, rievoca un altro «dimorare», quello di Cristo con noi, non più per un giorno solo, ma fino alla consumazione dei secoli; e ritroviamo l’essenza della chiesa.
Eucaristia, vita ecclesiale, apostolato, istituzione: in poche righe, le letture dell’eucarestia odierna offrono una sintesi magistrale, riallacciata, tramite l’ultimo dei profeti, a tutta la storia che aveva preceduto e prefigurato la Chiesa, proiettandola in avanti nell’escatologia, fino all’altra dimora di Dio con gli uomini; quella che il discepolo prediletto annuncierà, dopo la risurrezione di Cristo, in visione e profezia: «Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini: egli abiterà con loro» (Ap 21,3).
II Colletta
O Dio, che riveli i segni della tua presenza nella Chiesa,
nella liturgia e nei fratelli,
fa’ che non lasciamo cadere a vuoto nessuna tua parola,
per riconoscere il tuo progetto di salvezza
e divenire apostoli e profeti del tuo regno.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…
[1] «Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà»
Fonte: Abbazia di Santa Maria a Pulsano