Buongiorno e buona domenica.
Questa mattina il vangelo ci mette di fronte al racconto di Giovanni che ci parla dell’incontro di Gesù con i primi due discepoli. Tra l’altro non con Pietro. Pietro arriverà in un secondo momento. È un brano a cui mi legano cari ricordi. Due su tutti una lectio che faccemmo tanti anni fa in india come un gruppo di missionarie. Con loro c’era anche una cara amica, la fondatrice dell’associazione, che ora è nelle mani del Signore. Come iniziai a commentare il brano vidi che si metteva a ridere. Non era una cosa usuale. Perché pur essendo una persona con cui si scherzava si rideva in modo fraterno era comunque molto rispettosa. Soprattutto nei momenti istituzionali. Alla fine mi raccontò che era la quarta, la quinta volta che mi sentiva commentare questo brano. Era contenta perché sempre saltavano fuori cose nuove. A distanza di 20 anni vedo che è ancora così. Ed è giusto e sono contento che sia così. Il vangelo è una persona e una persona sempre ci sorprende. Il secondo ricordo è il lavoro che ci propose di fare tanti anni fa don Italo Castellani che è stato mio vescovo qualche decennio fa. Erano gli incontri che facevamo con i giovani. Le lectio del lunedì sera e forse la primo, comunque una delle prime, quella che ricordo di più, era proprio su questo brano del vangelo.
Che è un brano fatto di sguardi e di movimenti. Ci sono tre situazioni fatte di sguardi con tre verbi diversi: il primo è lo sguardo meditativo carico di domande di Giovanni Battista su Gesù. Lo stesso verbo viene utilizzato al termine del brano per raccontare lo sguardo di Gesù su Pietro. È uno sguardo aperto: dentro c’è una domanda che avrà la sua risposta nel vangelo e poi nella storia. C’è un secondo sguardo: lo sguardo sorpreso di Gesù che si gira e si trova questi due che lo seguono, senza quasi essersene accorto. È uno sguardo da spettatore, guardare nell’attesa che capiti qualcosa. Il terzo sguardo è quello che Gesù invita i discepoli a maturare nei suoi confronti: “venite e vedete”. Quel “vedete” è lo sguardo della contemplazione. Il vangelo in questo senso è molto fiducioso perché ci racconta che i discepoli andarono e videro “quel giorno”. Non possiamo prenderci impegni per sempre, non possiamo dire che saremo capaci di fare una cosa tutti i giorni, sempre, nella nostra vita. Però possiamo dire che oggi abbiamo cercato di farlo. E che forse con l’aiuto del Signore sarebbe bello se riuscissimo, ogni giorno della nostra vita.
Ed è un vangelo di movimenti. C’è Gesù che passa. I discepoli lo seguono. Gesù si gira. L’invito a venire. Poi Andrea andrà a chiamare Pietro, lo cercherà, lo condurrà da Gesù. I due verbi, di movimento e di non movimento centrali, sono la domanda di Gesù “che cercate?” e la risposta dei discepoli “dove abiti, dove rimani?”. La domanda di Gesù è la prima grande domanda del Nuovo Testamento, del Secondo Testamento. È il primo discorso diretto del vangelo di Giovanni. Forse simmetrico con quello che succede nel libro della Genesi in cui la prima parola di Dio, il primo discorso diretto è la domanda ad Adamo “dove sei?”. Adamo è nascosto perché ha paura, perché è nudo. Ecco nel Secondo Testamento la prima domanda che Gesù fa ai discepoli – quindi anche a noi – è una domanda al presente indicativo, è “dove abiti?”. Ci sarebbero state meravigliose possibilità di risposte teologiche stupende che ci scaldano il cuore. La risposta dei discepoli a una prima lettura è profondamente deludente: “dove abiti, dove stai?”.
Che non c’entra assolutamente niente e ci spiazza. Probabilmente forse è quello che avremmo risposto noi. Perché è facile inventarsi le risposte duemila anni dopo leggendo le domande sulla carta. Ma quando le persone, la vita ci fanno le domande in diretta spesso le nostre risposte sono inadeguate. Come sempre capita col vangelo, in particolare col vangelo di Giovanni dentro quella risposta apparentemente inadeguata ci sono livelli di significato praticamente infiniti. Gesù la fa sua – venite e vedete – non si tira indietro. Perché dentro quel verbo “abitare” ci sono tantissime altre cose. Non è solo un abitare – dove stai, dove rimani -. Noi abbiamo appena letto nel racconto del battesimo di Gesù che lo Spirito Santo è sceso del cielo e rimane e abita in Gesù. Andando avanti nel vangelo lo scopriremo che Gesù rimane e abita nel Padre. Così come abita e rimane in noi.
Così come nei Getsemani quando chiederà ai discepoli – restate svegli, restate con me – è lo stesso identico verbo. Quindi si chiude il cerchio. Quel cerchio che inizia qui – inizia qui… inizia col progetto di Dio, col verbo che si fa carne e che viene ad abitare in mezzo a noi e che rimane in mezzo a noi. Ci porta, ci chiede e ci conduce, ci dà la possibilità e la forza di abitare con lui. Tutto questo capita nel terzo giorno perché c’è un conto meraviglioso di giorni all’interno dell’inizio del vangelo di Giovanni. Quindi siamo in una prospettiva di resurrezione – e il discepolato è sempre questo, è l’inizio di una vita nuova -. Siamo anche in un brano in cui si parla spessissimo di parole antiche che devono essere tradotte. Quindi l’invito che faccio a me e sempre ripeto e estendo a ciascuno di voi è di lasciare che questo e ogni vangelo ci doni, non come un racconto ma come l’incontro con una persona, ci doni cose belle, cose nuove da tradurre nella nostra vita e da donare agli altri.
Buongiorno e buona domenica.