don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 14 Gennaio 2021

LA NOSTRA VOLONTA’ PIU’ AUTENTICA E NASCOSTA NEL CUORE COINCIDE CON QUELLA DEL PADRE E RIVELATA DAL SUO FIGLIO

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AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE

Parole, guarigioni ed esorcismi avevano esteso la fama di Gesù al punto non poteva più entrare pubblicamente in una città, perché essa sgorgava dalla sua compassione. Questa parola traduce in italiano il greco “splanxnisthèis” (avente viscere che fremono) che traduce a sua volta l’ebraico “rahamin”, che rimanda all’amore viscerale di una madre (“rehem” = utero, seno materno). La compassione svela dunque il cuore materno di Gesù, da cui scaturisce un amore capace di accogliere, concepire e generare, dare alla luce, creare e ricreare: la compassione che ha abbracciato il lebbroso. Reietto, impuro e impossibilitato ad avvicinarsi a chiunque, aveva molto camminato nelle umiliazioni, nei fallimenti e nel dolore, sino ad arrivare a Cristo, sceso prima di lui in quel rantolo di vita che era diventata la sua. Se non lo aveva scacciato significava che Gesù davvero era l’unico che lo com-pativa, che cioè conosceva le sue sofferenze e le accoglieva, facendole sue.

Era come se in quel momento avesse visto Gesù già sulla via del Calvario, senza apparenze d’uomo, disprezzato, rifiuto degli uomini, come uno davanti al quale ci si copre il volto. Lo aveva visto come un altro se stesso, lebbroso e crocifisso. Sì, la storia di solitudine e umiliazioni lo aveva condotto dinanzi all’uomo dei dolori, che conosce bene il patire, il suo. Per questo, come una sincera professione di fede, è sgorgata dal suo cuore l’invocazione che appoggiava ogni suo desiderio su quel Rabbì: “Se vuoi puoi guarirmi”. E qui il lebbroso ha scoperto quello che chiunque incontra davvero Cristo nella sua vita può sperimentare: la volontà di Dio coincide con quella più intima e nascosta di ogni uomo. “Sì, lo voglio, sii guarito!”. 

Questo dialogo è immagine di ogni incontro autentico con Cristo nella Chiesa, dove il cammino di umiliazioni e solitudine di chi patisce la lebbra del cuore può finire tra le braccia della sua compassione. Perché essa è, qui sulla terra, la sua bocca che ci annuncia la volontà d’amore del Padre, e la sua mano, ovvero i sacramenti attraverso i quali ci tocca perché quella volontà si incarni in noi sanandoci. Il cortocircuito tra la volontà dell’uomo e quella di Dio innesca immediatamente lo zelo, che si manifesta sempre con i ritmi e le parole della lode. La vita di quel lebbroso, come quella di ogni uomo sanato gratuitamente da Cristo, diviene così un segno di speranza.  Il lebbroso, infatti, portava la Buona Notizia nella carne: la sua pelle un tempo avvizzita era diventata luce, sale e lievito.

Laddove erano le pustole di morte, recava ora le stigmate di vita sgorgata dalla mano di Cristo. Era la sua vita a parlare, era la sua carne rigenerata a gridare la gioia. Le parole avrebbero solo spiegato, dato ragione di un fatto, un avvenimento incontrovertibile. Mentre prima era obbligato a camminare gridando «immondo, impuro!», indicando se stesso come persona dove abita la morte – i rabbini definivano i lebbrosi come i “morti che respirano” – ora poteva correre, libero, a proclamare e a divulgare il fatto. E’ questa la missione della Chiesa e di ogni apostolo: mostrare al mondo la propria esistenza concreta risuscitata da Cristo nella comunità e offrirla in sacrificio per amore, “a testimonianza” per ogni uomo. E’ la fede che si fa notizia nella storia dei cristiani, nella tua e nella mia, nei fatti concreti che rivelano le opere che prima ci erano impossibili, opere d’amore che annunciano la vita eterna.

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