“La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei”.
Quando penso alle definizioni di Chiesa più belle contenute nel Vangelo, mi viene alla mente questo versetto. La Chiesa è accorgersi delle persone intorno a noi, specialmente di chi soffre, e adoperarsi per sussurrare all’orecchio di Gesù un’istanza, un’intercessione.
Se la gente che è intorno a me, dice di essere la Chiesa, e non mi prende a cuore fino al punto da portarmi da Cristo, da consegnarmi alla Sua Misericordia, allora a che cosa mai dovrebbero servirmi questi amici, questo essere Chiesa? “Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli”.
Qui sono raggruppati una serie di verbi decisivi, sono la descrizione della prassi normale attraverso cui la Grazia agisce nella nostra vita: accostarsi, sollevare, prendere per mano, guarire. E solo alla fine c’è un’azione da parte di questa donna: “si mise a servirli”. Come se il vangelo volesse dirci che il grosso del lavoro lo fa Cristo. Noi siamo sempre molto preoccupati di dover far tutto noi, di doverci salvare da soli. Ma il cristianesimo è lasciarsi salvare e non trovare vie di autoredenzione.
La faccenda dell’autoredenzione è una delle menzogne preferite dal male. Di fondo c’è l’idea che si è liberi quando non si ha bisogno di nessuno, ma se la suocera di Pietro avesse ragionato così sarebbe certamente morta. Bisogna lasciarsi aiutare, lasciarsi amare, lasciarsi portare. Quando la Chiesa chiede l’obbedienza non sta chiedendo l’esecuzione di regole e precetti. L’obbedienza è riporre fiducia in qualcuno che possa portarci fino a Cristo. Ma la lezione più grande non consiste nella guarigione, ma nella preghiera: “Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava”.
La preghiera è l’atto più concreto e rivoluzionario che un credente possa fare, perché la preghiera è ritornare all’essenziale della vita e da lì ripartire. La preghiera è la memoria di non bastare a se stessi.
***ALTRO COMMENTO***
“E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei”.
È bello l’incipit del Vangelo di oggi che collega la sinagoga alla casa di Pietro. È un po’ come dire che la fatica più grossa che noi facciamo nell’esperienza di fede è ritrovare la strada di casa, della quotidianità, delle cose di ogni giorno. Troppo spesso la fede sembra rimanere vera solo nelle mura del tempio, ma non si collega con le mura domestiche. Gesù esce dalla sinagoga ed entra nella casa di Pietro. È lì che trova un intreccio di relazioni che lo mettono nelle condizioni di poter incontrare una persona che soffre.
È sempre bello quando la Chiesa, che è sempre un intreccio di relazioni, renda possibile l’incontro concreto e personale di Cristo soprattutto con i più sofferenti. Gesù usa una strategia di prossimità che nasce dall’ascolto (gli parlarono di lei), per poi farsi vicino (accostatosi), e offrendo se stesso come punto d’appoggio in quella sofferenza (la sollevò prendendola per mano).
Il risultato è la liberazione da ciò che tormentava questa donna, e la conseguente ma mai scontata conversione. Infatti ella guarisce lasciando la posizione di vittima per assumere la postura di protagonista: “la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli”. Il servizio infatti è una forma di protagonismo, anzi la più importante forma di protagonismo del cristianesimo.
È però inevitabile che tutto questo abbia come risultato una sempre e più grande fama, con la conseguente richiesta di guarire i malati. Gesù però non si lascia imprigionare solo in questo ruolo. Egli è venuto soprattutto per annunciare il Vangelo:
«Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
Anche la Chiesa, pur offrendo tutto il proprio aiuto, è chiamata innanzitutto ad annunciare il Vangelo e non a rimanere imprigionata nel solo ruolo caritativo.
(Questo commento è del 13 gennaio 2021)
AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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