don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 11 Gennaio 2021

Passando… vide… chiamò…

La storia dell’uomo, di ogni uomo sotto il cielo, potrebbe essere letta secondo la categoria della chiamata, ne sia consapevole o meno. Non è forse così per il venire alla luce? Nessuno ha deciso da sé tempi e modi di venire al mondo. E tuttavia, se nessuno ha scelto di venire al mondo perché Qualcuno ci ha chiamati all’esistenza, è altrettanto vero che al mondo non ci si resta se non decidendo di rimanerci e come rimanerci.

Si decide di rimanerci quando si lasciano parlare avvenimenti e incontri (la cui lettura non è univoca ma sempre personale), quando si conferisce diritto di parola persino a uno sguardo, a un gesto, a un atteggiamento, al tono della voce, quando nulla è letto come irrilevante o banale. Ripenso alla mia vocazione: nulla di eclatante o di fulmineo. Avevo poco più di 5 anni quando un giorno rimasi colpito dal mio parroco venuto a casa con uno stuolo di ragazzi per la benedizione delle famiglie. Avrei voluto essere anch’io tra di loro e lui me lo permise. E da lì…

Cosa avrà avuto di diverso quell’uomo di Nazareth rispetto ad altri che pure erano passati nella vita dei primi quattro chiamati? Apparentemente nulla. Eppure, quel suo sguardo registrato nella memoria del cuore dei discepoli, prima ancora che nella pagina evangelica, deve aver avuto un che di diverso. Ci sono sguardi e sguardi: c’è lo sguardo che fulmina, inchioda, condanna e c’è lo sguardo che dà fiducia, promuove, riscatta, riabilita.

Quello sguardo ha detto molto più di qualsiasi dichiarazione. E i quattro hanno colto in quello sguardo una chiamata per loro. Quello sguardo deve aver visto non solo ciò che essi erano ma ciò che potevano diventare. Ed essi si sono lasciati interpellare da quello sguardo. Lasciar parlare lo sguardo. Non accadrà lo stesso a un altro giovane del vangelo, che pure sarà guardato alla stessa maniera, ma preferirà rimanere attaccato alle sue cose.

Passando… vide… chiamò…

Un bel giorno, come d’improvviso, si ritrovano strappati alle loro occupazioni quotidiane mentre danno corso a un invito alla sequela di cui probabilmente comprendono ben poco. Cosa vorrà dire, infatti, quella promessa da parte di Gesù, di diventare pescatori di uomini invece che di pesci? Seguono senza chiedere spiegazioni e senza esigere garanzie. Il seguito del vangelo, infatti, non tacerà la loro fatica a comprendere, eppure osano aprire un credito di fiducia. Evidentemente occorre molto coraggio per lasciare un già e affidarsi all’oscurità di qualcosa di incerto.

Lasciare, perdere, andare, sono verbi che coniughiamo a fatica, eppure sono i verbi che il vangelo più mette a tema, sono i verbi che fa propri chi riconosce che la vita è una chiamata continua, chi non si accontenta di ciò che ha raggiunto, chi continua a esplorare i territori dell’inedito, chi appartiene alla razza degli scopritori: Beati gli inquieti, diventeranno scopritori di tesori! Solo degli uomini capaci di custodire un’attesa nel loro cuore, potevano credere che quello fosse il momento di fidarsi affidandosi.

Quei quattro dovevano essere persone che sapevano far parlare la vita (il mestiere più difficile) se saranno disposti a lasciare le reti, non soltanto quelle del loro mestiere ma quelle del buon senso, del calcolo, della prudenza.

Passando… vide… chiamò…

Continua a passare e chiama. Chiama attraverso l’intuizione che abita il tuo cuore; chiama mentre ti apri con fiducia al dono dell’amicizia, alla forza di un legame; chiama mentre un’angoscia visita i tuoi pensieri; chiama mentre un momento di stanchezza o di fatica ti visita; chiama mentre ti è portato via qualcuno su cui contavi; chiama nel momento in cui devi sciogliere le vele.

Ne sente la voce chi è capace di slanci audaci e non già di attaccamenti impauriti, chi è disposto a condividere e non già ad accumulare per sé, chi non è vittima di abbarbicamenti o di preoccupazioni affannate, chi è capace di fondare la consistenza della propria vita su qualcosa che non marcisce e non si consuma.

L’opera di Dio si compie laddove ci sono persone capaci di lasciare il porto sicuro del passato per esplorare le vie evangeliche del sogno di Dio.

Forse quel giorno non fu difficile lasciare le reti e il padre. A mano a mano che condivideranno la vita con il Maestro, verrà chiesto loro molto di più: abbandonare la loro idea su Dio, che era proprio quella per cui avevano abbandonato tutto. Dovranno abbandonare i propri progetti e “lasciarsi sorprendere e plasmare dall’inatteso di Dio, nelle cui mani affidabili soltanto sta il segreto di ogni vita”. Mai conclusa, infatti, l’operazione di vendita dei propri beni per acquistare la perla di grande valore che è Gesù Cristo e il suo sogno sul mondo. Fino alla fine ci sarà da lasciare qualcosa.

Probabilmente, accostando il vangelo, ci vien quasi da sorridere nel constatare quanto infruttuoso sia stato l’insegnamento di Gesù nei confronti dei discepoli. Ci sembrano degli irriducibili ottusi. E tuttavia, la loro vicenda mette a tema il nostro giocare al cristianesimo, come Kierkegaard definirà brillantemente.

Noi conosciamo sin da subito ciò che essi impareranno a fatica. Apparteniamo alla categoria di quelli che sanno tutto su Gesù, sul vangelo, ma apparteniamo altrettanto a quelli che credono? Noi capiamo ciò che invece sfugge ai discepoli, ma forse seguiamo?


AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM

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