«Lascia pure che le luci esteriori agiscano sui sensi del tuo corpo, ma con tutto l’amore infiammato dell’anima tua ricevi dentro di te quella luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo». (Papa Leone Magno)
Il punto cardine di questa bella pericope, è sicuramente il silenzioso cuore del Bambino Gesù che già chiama e fa arrivare, mosso dal suo Amore. Questa tacita chiamata merita tutta la nostra considerazione e un atto profondo di immensa gratitudine.
Come ben sappiamo, i re Magi non appartenevano alla cultura giudaica, che è sempre stata attraversata da un discorso di gioia, come emerge anche nella prima Lettura in cui Dio promette al suo popolo: «sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza delle genti». Quindi, questi re Magi, che non provengono da una cultura caratterizzata da questa speranza, sono semplicemente persone sagge che trovano la gioia soltanto dopo una lunga ricerca.
Qui troviamo tutto il destino dell’umanità secondo il progetto di Dio, il quale ci ha creati per una grandissima gioia, e che troviamo in Lui; ossia, questa gioia la otterremo cercandola con tutta la forza e la fedeltà del nostro cuore, non imbattendoci cammin facendo.
Questa pericope, dunque, ci mette in questione, ci interpella come cristiani spesso troppo tristi, ma soprattutto che non hanno ancora scoperto la gioia che viene da Dio e che Lui dona, perché a loro volta la donino attorno illuminando il mondo, sollevando la nebbia fitta che avvolge le genti.
Questa è, quindi, una narrazione che può creare in noi qualche santa inquietudine e qualche sano rimorso. Difatti, tutto il Nuovo Testamento in particolare, ereditando l’Antico Testamento, non è che un annuncio di gioia.
Proviamo a rammentare queste gioie straordinarie:
La prima è la stessa presenza di Dio tra noi: Dio c’è davvero, è vicino a noi, anzi è in noi. Il Vangelo agli inizi è tutto pervaso da questo clima nuovo, da quando Maria riceve l’annunzio e poi canta la sua lode: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta…». Ecco una parola di felicità schietta, che esce da un cuore puro. E questa esultanza procede: Gesù nasce e si circonda ancora di molta gioia, quella dei cieli e quella umile dei pastori. La sua entrata nel mondo è segnata con questa misteriosa luce gaudiosa: è notte e si fa luce.
Poi Gesù cresce, e a poco a poco espande la gioia, non soltanto della sua venuta e della sua presenza, ma anche delle sue opere. Quale incredibile gioia si diffuse nella popolazione di Palestina quando questo Messia cominciò semplicemente a operare il bene! Voleva renderli felici, li guariva, li sfamava, li accontentava in tutte le loro richieste buone e giuste. E il risultato era un popolo felice. Certo le sue erano anche parole di verità, ma mai di verità disgiunta dalla gioia.
Noi invece, guardando il nostro cuore, lo troviamo spesso troppo triste, appesantito dagli affanni – come ha detto Gesù – e qualche volta soffocato dalle piccole gioie, spesso sbagliate, con le quali cerchiamo di sostenerci per vivere.
– Ma allora chi seguiamo?
Gesù ha parlato della gioia di Dio quando un peccatore si pente. Non ha soltanto detto che è venuto a darci gioia, ma è venuto, anche, a prendere la gioia che noi gli diamo quando rientriamo nel suo abbraccio di misericordia: «Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione».
Che meraviglia questo Dio che viene a chiedere a noi, ultime creature, che gli diamo la gioia di riconciliarci con Lui!
E poi c’è la gioia del vivere cristiano, che sovrabbonda, la gioia della buona esistenza cristiana, della fraternità, della generosità, dell’umiltà, della pazienza. È gioioso essere puri di cuore, essere umili, essere poveri perché si è dato ai fratelli, e ciò vale per ogni scelta di bene.
Ma poi vi è un paradosso, che soltanto Gesù poteva donarci: quando la gioia che viene da Lui riesce perfino a entrare dentro la sofferenza e a riscattarla. «Io gioisco nelle mie tribolazioni», disse Paolo; e lo hanno detto e ripetuto innumerevoli santi.
Abbiamo, quindi, motivi forti di consolazione. Se ci pieghiamo troppo alle fatiche di questa nostra esistenza e ce ne lasciamo sopraffare, se gli accadimenti ci scoraggiano, noi non possiamo dimenticare che «Non c’è felicità da poter ricevere, pari a quella che c’è negata».
È tremendamente vero:
Tu sei una persona d’affari, raggiungi il vertice del successo, poi fallisci.
Tu sei un importante politico, sei sulla cresta dell’onda, poi cambia l’onda e tu scompari.
Tu sei felice, ami e sei amato, poi viene il tradimento, viene la morte, e tutto crolla.
Sono fatti che capitano, ma tutto questo può divenire materia prima di disperazione.
Dovremmo, allora, essere saggi e capire: «Signore… Tu solo sei buono e fonte della vita». Egli ci guarda e ci ripete le Parole del Vangelo di Giovanni: «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».
Questo non è un discorso semplice: la gioia cristiana passa risolutamente attraverso la Croce e non la può conoscere chi non ama la Croce, chi non segue appassionatamente Gesù risorto, non pensa e non sente come Lui, non prende parte ai palpiti del suo cuore risorto.
Insomma, la tristezza può non essere solo un sentimento del cuore, ma diventare un peccato quando noi non l’accogliamo in Gesù Signore, non la viviamo guardando Lui, non sappiamo sollevarla e renderla strumento di salvezza, quando semplicemente lasciamo che ci pesi sul cuore.
Non comportiamoci così: le creature di Dio sono gioiose nella profonda, inalterabile pace che Egli dona.
Il Signore ha conosciuto la Croce, ma è risorto. E allora:
Proviamo a spalancare il nostro cuore alla gioia di Dio.
Proviamo a lasciarci sorprendere dalla gioia del Risorto.
Proviamo a spalancare le porte della nostra libertà al suo Amore misericordioso.
Proviamo a esporre le nostre gioie e le nostre pene a Gesù, lasciando a lui la libertà di illuminare con la sua Luce la nostra mente e di toccare con la sua Grazia il nostro cuore