don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 3 Gennaio 2021

L’AMORE SI E’ FATTO PAROLA RIVESTITA DI CARNE PERCHE’ POTESSIMO VEDERLO OPERARE NELLA NOSTRA VITA

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AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE

Se le parole buone e belle che diciamo potessero rivestirsi di carne, e, ricolme di Spirito Santo, cominciassero a vivere compiendosi in un amore vero, visibile, carnale, che meraviglia! Se le parole che un marito sussurra a sua moglie diventassero carne capace di riflettere la loro  “grazia”, ovvero la gratuità, e la loro “verità”, ovvero l’autenticità, che matrimonio diventerebbe. Immaginatele con gambe, occhi e mani realizzare ciò che dicono. Quale moglie dubiterebbe più di suo marito? O quale figlio potrebbe covare rancore verso i suoi genitori se le parole con cui questi affermano che darebbero la vita per loro diventassero gesti da vedere e toccare? E così via, tra amici, fidanzati, colleghi. Immaginate che, in un istante, si materializzassero qui, “in mezzo a noi”, tutte le promesse, le dichiarazioni di fedeltà, i complimenti e le tenerezze, ogni parola che ci nasce nel cuore e sussurriamo a volte tremanti a volte con un po’ di presunzione.
 
No, è ci è impossibile anche il solo immaginarlo, perché in fondo sappiamo di dire l’impossibile, di rivestire con le parole i desideri più intimi; eppure già così ci sembra di vederli in qualche modo realizzati. Ci basta dire ti amo, ed è già amore. E attenzione, non è sempre ipocrisia e sentimentalismo. Non possiamo di più, ecco tutto. Vorremmo compiere quello che diciamo, ma l’incarnazione delle nostre parole abortisce sempre nell’incoerenza, come quella di Pietro: “ti seguirò ovunque e darò la mia vita per te”. Ed era sicuro che ce l’avrebbe fatta, perché lo desiderava con tutto il suo cuore. Ma non aveva fatto i conti con la paura della morte che ancora lo teneva schiavo.

Eppure, proprio giunto a quel triste capolinea dove finalmente scendeva l’illusione, Pietro ha incontrato la carne che avrebbe compiuto ogni suo desiderio di bene e di amore. Lo sguardo di Gesù lo sconvolgeva, aprendo d’un colpo la diga che gli bloccava le lacrime in petto. I suoi occhi vedevano infatti la parola di misericordia fissarlo e accoglierlo così come era mentre si faceva carne prendendo su di sé il suo tradimento. Quelle lacrime diventavano un battesimo nel quale la parola buona pronunciata da Dio su ciascun uomo scendeva di nuovo per farsi carne nell’incoerenza e trasformarla in fedeltà.

Come può accadere in questo tempo di Natale, nel quale la Parola di Dio viene a cercare le nostre parole per purificarle e assorbirle nella sua Parola che si fa carne per essere vista e accolta. I rabbini insegnavano che per vedere Dio occorre accostarsi alla scala che, nel sogno, ha permesso a Giacobbe di vedere il cielo aperto. Essa era una profezia della scala del Sinai, sulla cui sommità Dio ha consegnato la Torah a Mosè e al popolo. Ma era anche una profezia della Croce! Per vedere Dio è dunque necessario accostarsi alla scala di Giacobbe, attraverso l’ascolto della Torah, la Parola che la Chiesa ci predica, con il cuore finalmente contrito e desideroso di accoglierla nell’obbedienza.

Come accadde a Giacobbe quando incontrò il gemello Esaù dopo la notte passata al guado dello Jabbok, dove ha lottato con Dio. In quel battesimo aveva sperimentato la sua debolezza e la forza di Dio, uscendone claudicante ma finalmente appoggiato a Lui; da quelle acque era nato Israele, un nome nuovo per un uomo rinato a vita nuova. Ora Giacobbe poteva incontrare il fratello che aveva temuto e riconciliarsi con lui, e in quell’esperienza vedere la parola fatta carne nella sua debolezza risplendere viva dinanzi ai suoi occhi, sino ad affermare che “vedere il volto di Esaù è come vedere il volto di Dio” (cfr. gen 33,10). Solo un cuore umiliato e contrito che si appoggia completamente a Dio può riconciliarsi prima con se stesso e la propria storia, e poi con i fratelli vedendo in essi il volto di Dio.

Anche per noi è preparata una notte simile, quando attraverso la croce Dio si fa carne per lottare con il nostro uomo vecchio, ridurlo a nulla e donarci il nome nuovo di figlio di Dio, che “non per volere di carne né di sangue ma da dio, per pura grazia, è generato”. La nostra natura è ferita dal peccato, e per questo ci atterriscono l’umiliazione, il dolore, la morte e la frustrazione delle nostre idee, dei progetti, degli ideali. Ma nella liturgia di questa domenica, di nuovo si compie il mistero dell’Incarnazione, e risplende per noi come per Giacobbe la luce della vittoria di cristo su ogni peccato compiuto nella carne. La parola che la Chiesa ci predica, infatti, “si fa carne” oggi nei sacramenti e nel popolo santo di Dio, “per abitare in mezzo a noi” e offrirci così la possibilità di accoglierla e camminare senza paura verso i fratello e la storia che ci attendono.

Guardiamoci intorno, è tutto un incarnarsi della Parola di Dio! Non c’è una sua promessa andata a vuoto. Non c’è un matrimonio raggiunto dalla sua Parola che non sia stato salvato e rigenerato. Accettiamo la nostra debolezza, come Giacobbe e come Pietro, perché proprio essa ci spinge, umilmente, ad accogliere il Signore e appoggiarci a Lui. E appoggiarsi significa la fede, senza la quale la Parola non si può incarnare. Ma chi nella Chiesa cresce in essa sperimentando nella propria vita il “potere” di Cristo nei figli di Dio, vedrà in “tutto” un nuovo “principio”, una nuova creazione.

Forse sino ad oggi hai vissuto incastrato nel mondo che non ha riconosciuto il Messia farsi carne, e per questo non hai accettato la luce che risplendeva nelle tue tenebre. Non hai potuto sopportare tua moglie imputando al suo carattere le difficoltà nel vostro matrimonio; hai rifiutato i tuoi genitori, o il lavoro, o te stesso. Stop, fermati, oggi la liturgia ti annuncia che non deve per forza continuare così!

Gesù “è nel mondo” ora, nel tuo mondo, ed esso “è stato fatto per mezzo di lui”. Sì, è ferito dal peccato, ma Lui vi è disceso per assumere sulla sua carne le ferite che ti scandalizzano e ti impediscono di accettare e amare le persone e la storia. La “grazia e la verità” vengono oggi a te attraverso l’amore che si è infilato proprio dentro il tuo mondo, nel modo più impensabile. Lasciando cioè che ogni tuo peccato, come quello di chi ti è accanto, giungesse alla sua carne per disintegrarsi sulla roccia incorruttibile della natura divina che essa celava.

Coraggio allora, perché se è vero che nessuno ha visto Dio, e per questo tutti brancoliamo nelle tenebre del non senso e della frustrazione, nella Chiesa Gesù, che è rivolto verso il Padre con amore, si volge a noi e ce lo rivela. sì, nella chiesa possiamo vedere Dio! e chi vede Dio nella propria vita, chi cioè sperimenta il suo amore che perdona e rigenera, come Giacobbe e come Pietro, può vivere, nell’umiltà, una vita nuova e piena, compiuta nello stesso amore che lo ha raggiunto, perché “dalla sua pienezza tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia”. 

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