«A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio».
Mediante una lunga meditazione, continuata tutta la sua vita assieme alla Comunità cristiana, l’apostolo Giovanni si è sforzato di penetrare il senso profondo delle cose di cui era stato testimone.
In un sorprendente compendio mostra come il Verbo di Dio, riflesso della maestà divina, non abbia mai cessato di riemergere nella creazione. Al termine di una lunga germinazione, questo riflesso si manifesta totalmente in Gesù. La luce brilla, ormai, in pienezza per coloro che si volgono a lui, verso il quale si erano orientati i profeti del passato. Costoro sono iniziati a un rapporto filiale con Dio. La vita esplode e la nascita del Bambino Gesù diventa l’esaltazione della grazia, della bontà di Dio e del suo amore.
Un testo apocrifo dei primi secoli cristiani mette in bocca a Gesù queste parole: «Io divenni piccolo perché attraverso la mia piccolezza potessi portarvi in alto donde siete caduti. Io vi porterò sulle mie spalle». Questo bimbo è appunto la radice della speranza perché Egli è straordinario, è il «Salvatore, che è Cristo Signore».
È così che questo Vangelo ci porterà molto lontano, in un orizzonte immenso, e poi ci ricondurrà qui, ma con Dio, con il Bambino Gesù.
Comincia così: «In principio era il Verbo». Esso ci porta, infatti, fuori dalla nostra dimensione, che è la storia, la temporalità, la vita, in sostanza. Tratti fuori, prima del big bang, per dir così, noi ci troviamo di fronte a Colui che «era presso Dio… era Dio».
Poi, prosegue dicendo che «tutto è stato fatto per mezzo di lui»: se noi ci siamo, è perché Egli era. Sicché, a questo Dio che è, e mi solleva verso il suo eterno, ora devo rivolgermi chiamandolo: «Mio Creatore».
A questo punto, l’evangelista Giovanni disegna con intensità il contrasto che caratterizza il rapporto fra il Verbo e noi: Egli era «la luce vera, quella che illumina ogni uomo». Nasce allora la domanda: «Se Lui era la luce, io chi sono?». Nel nostro universo interiore la luce si oppone alle tenebre; perciò, se sono umile, mi lascio rispondere: «Tu sei le tenebre». Dio non lo dice per offendermi, neanche per umiliarmi, ma soltanto per farmi capire la differenza di qualità tra il Suo essere glorioso e il mio essere creato. Sono tenebre che la Luce ha tutte le intenzioni d’invadere, di colmare di sé, purché questo dono sia accettato.
Ed ecco infine il dirompente movimento: «E il Verbo… venne ad abitare in mezzo a noi». Tutto l’immenso preambolo, per dire così, è scritto soltanto per avvertirmi di una verità inebriante: Dio viene da me. Chi sia io, non importa – sono meno che niente – ma Egli è venuto a stare con me, con noi.
L’altro aspetto, ancora, ci supera completamente: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia». Il Verbo è venuto a stare in mezzo a noi perché a Lui, alla sua pienezza io devo attingere per sapere che cos’è la vita. Con tutte le nostre esperienze, benché ci possa sembrare di averla capita, di averla goduta e sofferta in tutti i modi, non abbiamo ancora conosciuto nulla se non abbiamo sperimentato la pienezza di Gesù: Dio fatto uomo.
Oggi, quindi, siamo invitati ad abbassare gli occhi dall’altezza in cui il Prologo ci ha portati per posarli sul Bambino nella mangiatoia.
A questo Gesù Bambino, che non ha perso nessuna delle sue grandezze, così mi devo rivolgere:
– mio Eterno, sei nato da donna, eppure devo chiamarti con questo nome. E devo anche dirti «Mio Creatore», anche se ti vedo nelle braccia di una mamma, una creatura umana “come me”. E devo riconoscerti come mia Luce. E anche dirti: «Mio amico», poiché sei venuto in mezzo a noi su questa terra. E ancora: «Mia pienezza».
Il cristianesimo non è meno di questo. Lo abbiamo imparato in tono minore: per tanto che siamo stati educati bene, non si può apprendere tutto subito. Siamo qui appunto per riconoscere la grandiosità del cristianesimo. Il Natale prima di tutto ci dice di farci della nostra fede l’idea tanto grande quanto merita.
Il Natale è, dunque, confrontarsi con il Neo-nato e domandare:
– In che cosa Tu, piccolo Gesù, Verbo incarnato, mi sorpassi?.
È un interrogativo molto serio, che ha incantato la Comunità cristiana nei millenni, e che richiederebbe un tempo di silenzio prima di rispondere.
Pascal, che viveva quando nascevano i telescopi, pur essendo cristiano, commentava le prime pagine della nuova scienza astronomica, così: «II silenzio eterno di questi spazi infiniti mi atterrisce».
È la dimostrazione che il Verbo fatto uomo ci oltrepassa in sapienza infinita. Allora, siamo saggi quando ci fermiamo un momento, prendiamo il Vangelo, leggiamo quelle parole, che forse sappiamo già, e ci lasciamo convincere dal loro messaggio: «Beati i poveri…, beati i miti…, perdona i tuoi fratelli…, rendi bene per male…»: Sono «sorpassi» che ci fanno mancare il fiato, ma questa è la bellezza di Gesù, sapendo che la prossimità di Dio è fatta di eterno amore, lassù si ama «all’infinito». E il Verbo incarnato non perde nulla di quella «quantità» d’amore.
O Dio, io so che tu mi sorpassi in amore, e me ne accorgerò da come mi guarderai, mi tratterai, ti chinerai sulle mie piaghe, mi guarirai, mi perdonerai, farai tutto per me e non ti stancherai mai di farlo.
E io accetto questo più di tutto il resto: accolgo il dono della tua Sapienza, della tua Giustizia, ma che Tu mi sorpassi in amore mi fa sentire che sono salvo. Il mio problema, infatti, è che amo troppo poco e troppo poche persone, perché il mio cuore è piccolo.
Il Natale, allora, viene a dirmi di riaccettare il Verbo, l’Eterno da cui sono stato creato, che è venuto, e che mi vuole assumere nella Sua relazione d’amore. Dunque, senza alcun indugio, dobbiamo accogliere la pienezza di Gesù. Ecco la «neo-serietà» cristiana!
Parliamo spesso di «neo-paganesimo» e poi ci scoraggiamo. Dovremmo parlare di più di «neo-serietà» cristiana, e poi ritroveremmo la speranza. Quando un cristiano è serio, quando una Comunità cristiana diventa seria, fissa Gesù, accetta la penitenza, vive la conversione, riconosce di aver bisogno del perdono dei peccati.
Questa è la serietà più autentica di tutte, perché è il rapporto giusto con Dio, senza mai dimenticare che Gesù è venuto per darci le parole della consolazione: io sono presso il Padre, e noi siamo amore; e l’amore, per esigenza sua, vuole comunicarsi; se tutto è stato fatto, è perché noi abbiamo amato.
È necessario, quindi, ritrovare l’amore autentico. Ed è necessario anche per noi adulti ritrovare l’infanzia genuina, quella dello spirito aperto e sereno. Gesù in quel famoso dialogo notturno con Nicodemo ci aveva proprio invitato a «nascere di nuovo», a «nascere dall’alto».
L’augurio di «buon Natale» può, allora, assumere per il cristiano una nuova risonanza, quella per un Natale di «rigenerazione nel lavacro dello Spirito Santo».