DOMENICA «DELL’ANNUNCIAZIONE A MARIA»
Tutta la liturgia di questa quarta domenica, concentra l’attenzione sul messia, figlio e discendente della casa di Davide, a cui si rivolgono le attese e le speranze dell’umanità. I profeti sono stati per secoli i tenaci custodi di questa speranza messianica, ravvivandola nei momenti decisivi della storia del popolo di Israele. Uno di questi momenti lo riviviamo nella profezia che Natan fa a Davide di una casa e di un trono eterni. Questo patto che Dio stringe con Davide, per bocca del profeta, si compirà nella sua discendenza, nel «figlio» della promessa, in Gesù, il Verbo incarnato, la cui umanità sarà il nuovo tempio di Dio; in esso sarà sancita la nuova ed eterna alleanza a cui non più solo Israele ma tutte le genti saranno chiamate a partecipare. Maria, la vergine madre, riceve per prima l’annuncio del compimento di questo mistero nascosto da secoli, ma ora rivelato, nella pienezza dei tempi, secondo il disegno dell’eterna sapienza di Dio.
Dall’eucologia:
Antifona d’Ingresso Is 45,8
Stillate dall’alto, o cieli, la vostra rugiada
e dalle nubi scenda a noi il Giusto;
si apra la terra e germogli il Salvatore.
Il testo è un’epiclesi dall’immensità universale: «i cieli e la terra» biblicamente formano un’endiadi, ossia due termini che abbracciando due estremità distali indicano la totalità (cfr Sal 138,2.5 «quando seggo e quando mi alzo… alle spalle e di fronte mi circondi»). Il Profeta così chiede al Signore di intervenire nella tribolata storia degli uomini fedeli a Lui – catastrofica, al momento, poiché si tratta dell’esilio babilonese del popolo santo – operando un intervento prodigioso. I cieli qui sono la metafora per indicare il Signore, le nubi sono lo strumento della sua teofania. Da Lui perciò si chiede che faccia spuntare per prodigio «il Giusto», ossia, biblicamente, il Misericordioso verso il popolo tribolato. Ma questa figura è complessa, poiché mentre proviene dal Cielo, deve essere anche emanato dalla terra e così diventa il Salvatore degli uomini. Qui l’Avvento entra nella prospettiva propria del Natale. È questo il «mistero taciuto per secoli eterni» di cui ci parla s. Paolo nella lettera ai romani; il mistero «annunciato mediante le scritture profetiche» e da ultimo rivelato, per volere di Dio, a tutte le genti perché giungano anch’esse all’obbedienza della fede (v. 26). Questo mistero «celato fin dalle origini dei secoli in Dio» (Ef. 3, 9) è Cristo Gesù, salvezza per tutte le genti, chiamate a essere coeredi, inseparatamente dal popolo eletto, della stessa promessa. E la promessa è appunto questo «figlio» (Lc 1, 31), che sarà chiamato Gesù, a cui Dio «darà il trono di Davide, suo padre, e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno e il suo regno non avrà fine» (Lc 1, 32-33).
Canto all’Evangelo Lc 1,38
Alleluia, alleluia.
Eccomi, sono la serva del Signore:
avvenga di me quello che hai detto.
Alleluia.
è l’assenso totale e incondizionato della Vergine Maria all’Angelo del Signore, che le porta l’Annuncio buono della Parola divina e della sua attuazione. La Chiesa nell’ascolto dell’Evangelo della grazia fa suo questo atteggiamento.
In avvento la pericope evangelica ricorre l’8 dicembre e la feria del 20 dicembre in tutti i Cicli; nel Ciclo B, poi, anche la Domenica 4a , dunque ben tre volte in due settimane. L’Annunciazione poi ricorre anche al 25 marzo, ovviamente, ed in molte altre occasioni lungo l’anno. Il brano appartiene al cosiddetto «evangelo dell’infanzia» (Lc 1-2), una sezione caratteristica, propria di Luca, elaborata con molta accuratezza in un continuo confronto tra la figura del Battista e quella di Gesù. All’annuncio della nascita di Giovanni Battista segue l’annunzio a Maria; al racconto della nascita del precursore corrisponde quello molto più articolato della nascita di Gesù. Ma, grazie a questo accostamento letterario, risaltano più marcate le differenze di contenuto e di significato:
- non più un uomo, Zaccaria, al centro dell’attenzione, e in secondo piano Elisabetta, ma una donna, Maria (che rimarrà ormai al centro dell’azione fino a 2,52), e in secondo piano Giuseppe (cfr. Mt 1,18-25, dove i fatti invece sono narrati dall’evangelista dal punto di vista di Giuseppe);
- non si tratta più della nascita di un uomo, benché grande, ma della promessa di un uomo-Dio, della venuta del messia-salvatore.
Il genere letterario è quello biblico degli annunzi di nascite prodigiose, come quella di Isacco (Gen 18,10), di Sansone (Gdc 13,3), di Samuele (1 Sam 1,9), che contengono generalmente i seguenti elementi:
- presentazione dei personaggi, di solito colti in una situazione di difficoltà;
- apparizione d’un messaggero celeste;
- turbamento della persona intervistata;
- messaggio;
- obiezione da parte del destinatario del messaggio;
- segno offerto come convalida dell’annuncio.
Mentre il quarto evangelo si apre con la solenne ouverture del Prologo, un inno stupendo per annunciare l’incarnazione del Verbo eterno di Dio, qui viene descritta la stessa verità in modo semplice e narrativo. La descrizione dell’annunciazione, più che a livello cronachistico, va dunque letta come drammatizzazione d’un profondo intento cristologico.
I lettura: 2 Sam 7,1-5.8b-12.14.16
I primi sei capitoli del secondo libro di Samuele raccontano l’ascesa di Davide al trono e le sue vittorie, la conquista di Gerusalemme, la traslazione dell’arca nella capitale. Nella lettura odierna abbiamo la nota profezia di Natan sulla stabilità della dinastia davidica. Il Signore ha eletto Davide in questo modo. In Israele, delle 12 tribù sceglie Giuda, la cui capitale è Hebron; delle grandi famiglie di questa tribù sceglie quella di lesse, della città di Betlemme; degli 8 figli di lesse sceglie l’ultimogenito, Davide. Allora il sacerdote, profeta e giudice Samuele è inviato a identificarlo, e a ungerlo di consacrazione come re, e quindi come salvatore del popolo di Dio (1 Sam 16,1-13).
Il Disegno divino si mostra mentre opera per «concentrazione regressiva», ossia seleziona e via via elimina terre e persone, in modo che dalla pluralità e varietà resti “uno”. Lo scopo immediato qui è rendere compatto ed efficiente il potere dell’unico scelto, che fu incaricato di procurare la salvezza agli altri.
Il suo scopo ultimo, tuttavia, ottiene l’attuazione concreta attraverso l’operazione inversa, la «sussunzione progressiva», per cui l’unico scelto ha la missione di estendere la salvezza alla totalità della comunità. Perciò Davide è il re e quindi il salvatore dell’intero Israele.
Davide in seguito, e proprio dopo la promessa divina che fa oggetto della lettura odierna, perpetrò orridi misfatti (adulterio e omicidio premeditato di un innocente e valoroso suo guerriero, vedi 2 Sam 11). Tuttavia, per Decreto imperscrutabile e irreversibile, il Signore amò Davide più di ogni altro suo re. E lo pose come il capostipite della discendenza regale, portatrice della Promessa e della Benedizione. Il Re messianico quindi di necessità dovrà essere «il Figlio di David».
Anche Davide amò il suo Signore, e Lo cantò, fattosi l’orante di numerosi Salmi. E per desiderio di tributargli il dovuto culto, appena ebbe un tempo di pace, progettò anche di costruirgli la dimora, sontuosa e degna, come l’uomo può. Il Signore allora dimorava sull’arca, sotto una tenda mobile. Ma ha il suo Disegno da porre in azione.
Davide da parte sua comunica la sua decisione al suo più fidato consigliere, il profeta Natan (vv. 1-2). Natan è profeta di corte, quindi attento ai desideri del sovrano, e lo asseconda, assicurandogli troppo in fretta che il Signore sta con lui anche in questo (v. 3). Tuttavia, quella notte stessa il Signore appare a Natan (v. 4) e lo invia a Davide per contestargli il suo disegno (v. 5), che non desidera, poiché per Davide ha ben altri progetti. Gli manda a dire che in verità Egli lo ha preso come semplice pecoraio e ne ha fatto il re d’Israele (v. 8b), precedendolo e dandogli vittoria contro tutti i nemici. Perché vuole fargli un nome senza pari sulla terra (v. 9). A Israele darà una terra di quiete é senza più vicende agitate e tribolazioni come nei tempi travagliati dei Giudici (vv. 10-11a). Ma soprattutto a Davide il Signore vuole costituire una casa, il casato regale (v. 11b). E anzitutto dopo la sua morte gli darà un discendente, con un regno pacifico (v. 12), il quale costruirà la dimora al Nome divino, e riceverà un trono stabile (v. 13). Il Signore stabilirà con lui l’alleanza di paternità e filiazione: «Io sarò Padre a lui, ed egli sarà figlio per Me» (v. 14a). E questa casata reale di Davide si perpetuerà come suo regno davanti al Signore, che glielo sta adesso promettendo, nei discendenti della sua carne, e il segno regale per eccellenza, il trono suo, sarà stabile nelle generazioni (v. 16).
Si rileggano qui 2 testi del N. T.:
- Rom 1,3-4: il Figlio di Dio è generato come Uomo «secondo la carne da Davide», è generato come Dio dal Padre «secondo lo Spirito di Santità», e tale è dal Padre manifestato a partire dalla Resurrezione dai morti;
- Lc 1,32-33: al Grande, al Figlio dell’Altissimo, al Nato dalla Vergine Maria, il Padre dona «il trono di Davide suo padre», e regnerà sul casato di Giacobbe, «e il suo Regno non avrà più fine».
La Resurrezione in testa, la Nascita nella carne e l’Annunciazione come conseguenze, in quest’ordine, vanno tenute sempre davanti agli occhi della mente.
Esaminiamo il brano
26-27 «Nel sesto mese»: (brano liturgico “In quel tempo”) è un dato cronologico che congiunge l’annuncio a Maria con quello fatto dal medesimo angelo Gabriele a Zaccaria.
«Nazaret»: La scena si svolge in un insignificante villaggio della Galilea, noto nella tradizione per la composizione ibrida e poco ortodossa della sua popolazione. Il contrasto con l’apparizione a Zaccaria è palese: là un sacerdote integerrimo, a Gerusalemme, nel tempio, durante il momento culminante della liturgia; qui una ragazza di un paese e regione senza rilievo. Se Zaccaria era socialmente un povero (cfr. Lc 1,6-7 e Sof 2,3), Maria inaugura un’altra serie di poveri, quelli che offrono spazio all’iniziativa di Dio (v. 34).
«vergine»: (in gr parthénos) mentre il vocabolo ebraico ‘almah designa sia una ragazza vergine, sia una donna appena sposata, senza esplicitare ulteriormente il vocabolo greco opera la scelta di indicare una fanciulla che non ha avuto rapporti (cfr tradizione patristica). L’intezione di Luca nel nostro contesto è di sottolineare l’integrità di Maria; infatti più avanti (v. 34) rimanda al testo di Is 7,14 che parla di «vergine» nel testo greco. Il testo dei LXX è un testimone prezioso dell’interpretazione giudaica antica, che sarà consacrata dall’evangelo: Mt 1,23 trova qui l’annunzio della concezione verginale del Cristo.
«Giuseppe»: la menzione di Giuseppe, discendente di Davide, serve a giustificare, sul piano storico, e legale, la promessa riguardante il figlio di Maria: Dio gli affiderà il trono di Davide suo antenato (v.32; cfr I lettura).
vv. 28-33 II racconto centrale è dominato dal messaggio dell’angelo Gabriele, al quale fanno da contrappunto una riflessione e una domanda di Maria.
L’intervento dell’inviato divino si sviluppa in tre momenti progressivi, nei quali il messaggio viene ripreso e approfondito. Prima un saluto ricco di significato; l’angelo non aveva salutato Zaccaria, come ora fa con Maria. Ogni espressione del saluto è carica di risonanze bibliche, con evidenti allusioni messianiche.
«Ti saluto»: altre traduzioni portano «salve» o l’«ave» latino, un imperativo (ave, avete) di cui si è ormai perso il senso originale. Non è il semplice e quotidiano saluto greco «sta bene»; tutto il contesto invita a leggere l’espressione greca in un’altra chiave: «Rallegrati – Gioisci»(chàiró, verbo della Resurrezione, il quale sta già in funzione anticipativa). In questo saluto si può ascoltare un’eco degli inviti profetici rivolti alla «figlia di Sion», rappresentante del popolo di Dio (Sof 3,14-15; cfr. Zc 2,14; 9,9; Gl 2,21-27; Is 12,6). È un appello gioioso che proclama il favore della benevolenza di Dio e lascia intravedere la sua prossima visita, annunciata già dai profeti e non un saluto convenzionale (Luca avrebbe usato «La pace sia con te» corrispondente appunto all’ebraico shalóm; cfr 24,36 e Gv 20,19.26).
«piena di grazia»: come salve non traduce bene chaire così piena di grazia non traduce esattamente kecharitomene. Non si riferisce semplicemente al fascino fisico e non si tratta di grazia, santificante, ma del favore divino riversato su Maria. Il titolo non designa soltanto l’elezione di Maria alla maternità del Messia, ma anche la sua preparazione con un cumulo di benedizioni celesti per tale compito sublime, come viene esplicitato nel dogma dell’immacolato concepimento di Maria. Maria in altri termini è stata prevenuta dalla grazia, è una privilegiata appunto perché ricolmata di grazia da parte di Dio. «resa già graziata» il participio è al perfetto perché Maria è stata da sempre e resta per sempre l’oggetto del favore eccezionale che il carisma della maternità messianica suppone.
«il Signore è con te»: anche questa parte supera il valore di un semplice saluto o di un generico augurio. Essa indica il motivo di quella gioia messianica: la presenza di Dio-salvatore. Dio si è impegnato a stare con tutti coloro con i quali ha intrecciato un rapporto di alleanza (cfr Es 3,12; Gs 1,5; Gdc 6,12-17; ecc.) e con il suo popolo, di cui Mosè, Giosuè e Gedeone sono rappresentanti e guide. Iddio è con colei che sarà la madre del Dio-con-noi (l’Emmanuele; cfr. Is 7,14 e Mt 1,23). Alcuni manoscritti greci secondari aggiungono «benedetta tu sei fra le donne» che indica la scelta imperscrutabile di Maria tra tutte le donne ebree fedeli, le quali nella santità avevano atteso, o attendevano (cfr. Elisabetta, Anna) il Messia promesso.
«Non temere»: il secondo intervento dell’angelo dà un contenuto più preciso a quello che il saluto lasciava solo presagire. Con un collage di riferimenti alle promesse messianiche dell’AT (cfr. i rimandi sul testo biblico), Maria sarà la madre del messia atteso e annunciato. Il turbamento di Maria, più che per l’apparizione, come accade a Zaccaria, è per il senso del saluto rivoltole.
«Ecco concepirai…»: è una formula stereotipa, tipicamente biblica (cfr. Gen 16,11; 17,19; Gdc 13,5-7). Seguono una sene di titoli messianici [“sarà grande” (lo stesso titolo è dato a Giovanni Battista); “Figlio dell’altissimo” (figli di Dio sono tutti coloro che si trovano in speciale rapporto di intimità con Dio: l’angelo Sal 29,1; il popolo eletto Sap 18,13; Os 11,1; il messia 2 Sam 7,14; Sal 2,7; 89,27; una simile applicazione si vede anche nel NT in Lc 6,35) ] che preparano al significato teologicamente più pregnante che avrà l’espressione Figlio di Dio del v. 35.
34 Maria non esprime un dubbio, non pretende un segno, come fece Zaccaria, ma espone un desiderio, esprime un proposito, quello di rimanere vergine (come l’esegesi dei Padri sapeva). Un ideale certo difficile per il suo tempo, frutto sicuramente della grazia di Dio, ed una nascita da lei avrebbe sconvolto umanamente la sua oblazione. Tale è lo stato di Maria, ma ciò che ella considerava come un ostacolo per questa maternità gloriosa è, nel pensiero divino, la condizione necessaria. Dio le ha ispirato di rimanere vergine. Dio le domanda oggi di diventare madre; Dio non si contraddice. Come fu necessario che Abramo, perché potesse effettivamente diventare il padre di una posterità numerosa come le stelle del cielo e l’arena del mare, rinunciasse, accettando di immolarlo, all’unico figlio, sul quale riposavano le promesse divine. Salva la sua vita colui che accetta di perderla (cfr. Mc 8,34ss e sinottici); in altri termini l’uomo possiede solo ciò che ha donato. Allora anche la verginità di Maria assume un significato nuovo; non è un valore a sé stante, in quanto fatto biologico, ma è l’espressione della radicale povertà e disponibilità nella fede al progetto di Dio.
35-37 Quello che sta per accadere è ricondotto all’iniziativa diretta di Dio, indicata prima con lo Spirito Santo e poi da la potenza dell’Altissimo, ed è definito come una presenza speciale di Dio, indicata prima con scenderà su di te e poi con ti coprirà con la sua ombra. Non si tratta di una presenza qualunque, come quella che nell’AT Dio riservava ai grandi uomini, ma di una presenza divina speciale: lo indica il verbo episkiazein, assai raro nell’AT e denso di significato, come quando in Es 40,35 indica la nube che fa ombra sopra il Tabernacolo e simboleggia la gloria di Dio che riempie la Dimora.
Episkiazein, in ebraico hammishkan, da shakan =abitare, che i LXX hanno tradotto appunto con skènè, parola formata dalle stesse consonanti della radice ebraica; dallo stesso gruppo deriva la parola shekinà che nel Giudaismo posteriore indicherà l’abitazione divina e sostituirà lo stesso nome di Jahvé. È la prima casa del Dio fatto uomo; Maria è l’arca di quella alleanza definitiva che sarà ratificata sulla croce e che, sacramentalmente, noi riviviamo nella celebrazione eucaristica. L’espressione richiama dunque la presenza misteriosa di Dio nei luoghi a lui consacrati: la tenda del deserto e il tempio di Gerusalemme (cfr. 1 Re 8,10).
Un altro possibile riferimento biblico, degno di attenzione lo troviamo nei Sal 17,8; 57,2; 91.4; 140,8 dove Dio è paragonato ad un uccello che protegge coprendo con l’ombra delle sue ali. Questi due temi sono entrambi presenti in Es 25.20 e 1 Cr 28.18 dove il gesto dei Cherubini che coprono con le loro ali l’Arca dell’alleanza è espresso col verbo quasi identico (su) skiazeìn. L’uccello che copre con le sue ali può semplicemente proteggere i suoi piccoli, ma può anche covare le uova per farne schiudere la vita, come evoca l’altra immagine biblica dello Spirito creatore alle origini del mondo (Gen 1,2).
«anche Elisabetta…»: a Maria viene dato un segno: la concezione di Giovanni da parte di Elisabetta nella sua vecchiaia. Questa è la norma del comportamento di Dio con l’uomo: offrire dei segni che rendano credibile, e in qualche modo accettabile, la proposta divina.
38 L’accettazione di Maria è strettamente legata alla rivelazione contenuta nel dialogo con l’angelo; Maria di Nazaret ha accettato che il proprio progetto scomparisse in quello di Dio. Con un atto di fede e di obbedienza è iniziata la storia della salvezza (Gen 12,lss: Abramo); con un atto di fede e di obbedienza la storia della salvezza continua nella pienezza dei tempi (Maria). Ancora una volta ritorna l’immagine del “servo”, quale simbolo di umiltà e di disponibilità.
L’offerta al Signore si fa ancora più totale; l’esistenza verginalmente consacrata per atto umano, adesso accetta di esserlo ad opera dello Spirito. Questo è «essere la serva del Signore» fino alla fine; questo è accettare tutto da Dio, e solo da Dio, ma «secondo la Parola» onnipotente.
Colletta:
Infondi nel nostro spirito la tua grazia, o Padre,
tu, che nell’annunzio dell’angelo
ci hai rivelato l’incarnazione del tuo Figlio,
per la sua passione e la sua croce
guidaci alla gloria della risurrezione.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…
La I colletta è un’epiclesi per ottenere la grazia sapienziale per i fedeli, che avendo conosciuto dall’Evangelo come l’Angelo annuncia l’incarnazione di Cristo Figlio di Dio, così dalla Parola trasformante, accettando la Croce e l’assimilazione a Cristo che soffrì, possano giungere alla gloria comune della resurrezione.
Colletta B
Dio grande e misericordioso,
che tra gli umili scegli i tuoi servi
per portare a compimento il disegno di salvezza,
concedi alla tua Chiesa la fecondità dello Spirito,
perché sull’esempio di Maria accolga il Verbo della vita
e si rallegri come madre
di una stirpe santa e incorruttibile.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…
La colletta B riprende il cammino-testimonianza della Madre di Dio che diventa anche il cammino dell’umanità, della Chiesa purificata dalla Parola e dallo Spirito Santo che accoglie oggi nella Parola proclamata «il Verbo della vita» per compire il disegno di salvezza del Padre, Dio Grande e Misericordioso.
Preghiera sulle Offerte
Accogli, o Dio, i doni che presentiamo all’altare,
e consacrali con la potenza del tuo Spirito,
che santificò il grembo della Vergine Maria.
Per Cristo nostro Signore.
Una splendida epiclesi forse la più bella del Messale Romano con la quale si supplica il Padre affinchè il suo Spirito Santo santifichi i doni posti sull’altare. Il medesimo Spirito che con la sua Onnipotenza riempì il seno verginale Maria con il nascituro Gesù Cristo, la futura Vittima di redenzione.
Lo Spirito Santo è così visto nella sua ininterrotta operazione santificatrice misterica nella Chiesa, presente e trasformante i doni umani, così poveri, nel Corpo e Sangue preziosi del Figlio di Dio.
Antifona alla Comunione Is 7,14
Ecco, la Vergine concepirà
e darà alla luce un Figlio:
sarà chiamato Emmanuele, Dio con noi.
Il testo riprende ancora una volta la «Profezia dell’Immanuel» (Is 7,14). Il Figlio “partorito” verginalmente «oggi qui per noi» è il Dio presente con lo Spirito Santo «nel Mistero» della Mensa unica della Parola e dei Divini Misteri.
Il Signore dona un segno che è diventato ormai «il Segno» definitivo, il Figlio con lo Spirito Santo, il «Dio con noi» per sempre. La Chiesa nell’esistenza santificata, assimilata nella speranza a quella della Madre di Dio, deve concepire e generare la Parola di Dio, il Verbo di Dio (cfr Lc 8,21), già nell’ascolto di oggi, come lo Spirito Santo ne dona la comunione da parte del Padre. Dopo la Parola, partecipando alla Carne e al Sangue dei Divini Misteri diventiamo l’unica carne con il Signore. Così le Profezie antiche e l’Evangelo che le adempie possono trovare nella Chiesa, in noi, il luogo di questo adempimento, per la Venuta e la Dimora perenne del Signore invocato.
Fonte: Abbazia di Santa Maria a Pulsano