ESSERE NELLA GIOIA=ESSERE SE STESSI
La terza domenica d’Avvento invita alla gioia, poiché si avvicina il grande giorno: la Luce del mondo si presenta nella carne di un inerme bambino. Giovanni Battista e la sua testimonianza sono necessari per non travisare il senso di questa gioia. Il suo ministero dovette creare un particolare clima di attesa che destò non poca preoccupazione a Gerusalemme. Per questo inviarono emissari qualificati ad interrogarlo (Gv 1,19). Una cosa molto curiosa: l’evangelista Giovanni annota che il Battista confessò e non negò (Gv 1,20). Eppure, davanti alle 3 interrogazioni sulla propria identità, la sua confessione si traduce in una triplice negazione. Come se il vangelo ci suggerisse che testimone autentico non è colui che si presenta da sé, ma è l’uomo che, prima di tutto, sa bene chi non è.
A questo proposito, un breve cenno su uno dei primi testimoni della fede che ha toccato la mia vita: p.Emiliano Tardif. Personaggio pubblico conosciutissimo a causa del carisma di guarigione che accompagnava il suo ministero sacerdotale, alle ripetute interrogazioni di ecclesiastici, laici e giornalisti, p.Emiliano non si sottraeva mai. E mai gli si riusciva a strappare dalla bocca che i prodigi avvenuti durante le sue predicazioni li avesse in qualche modo realizzati lui. “Non sono io che opero, è Gesù che continua a passare e guarire in mezzo al suo popolo” – ripeteva sempre, aggiungendo poi spesso: “io sono solo l’asinello che porta Gesù dove vuole”. Un’immagine che non ho più dimenticato e che spiritualmente mi ha portato a coltivare lo stesso desiderio.
Giovanni nega di essere il tanto atteso Messia, nega di essere Elia che, secondo il comune senso religioso di Israele, sarebbe dovuto ritornare in vita prima del suo arrivo; nega addirittura di essere profeta, quando un popolo intero accorreva da lui nel deserto perché convinto che lo fosse. Ecco cosa ci indica sulla gioia la testimonianza del Battista. Non si entra nella gioia vera se si è preoccupati della propria immagine, se si cerca consenso tra gli uomini, se si cerca e si promuove la propria carriera, se si cerca di costruire il proprio progetto; in una parola, se si cerca e si mette al centro sé stessi. Paradossale verità: chi cammina così finisce nella vita per non sapere più chi sia. La propria identità, uno non se la può né dare, né dire da sé stesso.
Che cosa dici di te stesso? (Gv 1,22). Comunque Giovanni dà la sua risposta. Egli è rivelazione di Chi dona la vera identità all’uomo. La sua risposta all’incalzante domanda degli emissari di Gerusalemme rimanda sempre a Dio e alla vocazione/missione donatagli. E questo manifesta che unica occupazione di Giovanni fosse solo di essere quello per cui era venuto al mondo. Cioè uomo concentrato a vivere quella missione che sentiva bruciargli nel cuore: essere voce di una parola non sua, essere disponibile a un progetto più grande del suo, essere al servizio di un popolo da preparare per accogliere Qualcuno più grande di lui (Gv 1,27). Qualcuno già presente, ma che voi non conoscete (Gv 1,26). Il cammino per giungere alla gioia non può essere che quello di accogliere Dio nella storia che sta scrivendo con e in me. Come ricorda Papa Francesco nella prima esortazione apostolica sulla gioia: la missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere, se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo (Papa Francesco, Evangelii gaudium, n.273)
In conclusione: vuoi entrare nella gioia di Dio, la gioia vera, quella che non delude? Occupati e prenditi cura della tua vocazione/missione. Alla lunga, il ritrovarsi amati e al servizio di un disegno più grande di noi stessi, farà entrare nella gioia stessa di Dio, nel mistero stesso della vita. Giovanni comprese che la gioia si compie nello scoprire di essere presenti e preziosi in tale disegno, ma anche nella prontezza a farsi da parte. Per questo poté dire, come ultima testimonianza: chi possiede la sposa è lo Sposo; ma l’amico dello Sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello Sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire (Gv 3,29-30). Solo l’esperienza dell’amore di Dio e la nostra risposta a questo amore può farci dire chi siamo, qual è la nostra vera identità.
AUTORE: d. Giacomo Falco Brini
FONTE: PREDICATELO SUI TETTI
SITO WEB: https://predicatelosuitetti.com