“Perché mi chiamate: Signore, Signore…?”
Non è un gergo religioso ad accreditarci presso il Signore. Neppure il vantare di aver difeso il suo nome o addirittura (attesta Mt) aver profetato nel suo nome o scacciato i demoni nel suo nome. Parole, queste di Gesù, troppo disattese se pensiamo che ancora oggi noi misuriamo la santità di una persona dal grado di miracoli compiuti. Potrebbe anche accadere di compiere miracoli e non essere riconosciuti discepoli del Regno. Lezione, questa di Gesù, ancora troppo disattesa. Tutta ancora da apprendere.
Vi dico io, ci ripete Gesù, chi è il discepolo: non chi pratica riti, frequenta chiese. Praticante per il vangelo non è “chi dice: Signore, Signore”, ma chi opera la giustizia, chi fa la volontà di Dio. Non uno spazio religioso, ma la vita. E una prassi secondo la volontà di Dio si sintetizza nella misericordia, la prassi della misericordia.
Costruisce sulla roccia solo chi pone a fondamento delle piccole cose della propria vita l’amore per l’altro, quella disponibilità, cioè, a vivere decentrato.
Solo il mettere in pratica la parola ascoltata nel vangelo e nella vita è ciò che fa sicura la casa. Dove sta la sicurezza di una casa, di una chiesa, di un paese, secondo il vangelo?
Secondo il vangelo non c’è casa al riparo dall’eccesso delle piogge, dallo straripare dei fiumi, dal soffiare dei venti. Tutte e due le case! È inevitabile che la vita conosca stagioni infauste. E tuttavia queste potranno essere attraversate solo se avremo posto salde fondamenta.
È mistificante, secondo il vangelo, il concetto di sicurezza, come “essere garantiti” da un esterno da noi. Tutte e due le case, nessuna al riparo! La sicurezza non sta nel preservarsi da attacchi ma nel costruire saldamente. E noi cristiani siamo pensati e voluti soltanto per dire questo.
Costruire la casa sulla roccia significa molto semplicemente costruire la casa su Dio. Egli è la roccia.
Nella parabola usata dal vangelo, Gesù contrappone l’opera di due uomini che hanno costruito la loro casa, uno sulla sabbia l’altro sulla roccia. Ciò a cui si dà importanza in questa parabola non è tanto la bellezza e neppure la grandezza della costruzione, ma le fondamenta, cioè ciò che non si vede; proprio le fondamenta sono la base sulla quale la casa viene costruita; sono esse a garantirne la stabilità. Così dovrà essere anche nella vita del discepolo. Sono le scelte maturate nel silenzio e nella preghiera, i tempi di ascolto della Parola di Dio, il discernimento nei momenti del dubbio e della ricerca, che pongono le fondamenta nascoste di una vita di relazioni e sentimenti.
Un secondo aspetto della narrazione evangelica consiste nel fatto che essa utilizza la stessa descrizione delle avversità per entrambe le case: “Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa”. La vita del discepolo è burrascosa come quella di qualunque altro uomo. Stare con il Signore non mette nessuno al riparo dalla tempesta! Lo sperimentarono i discepoli quando attraversarono il lago in burrasca con a bordo il Signore (Mc 4,35-41). La sua presenza non evitò la tempesta, ma permise di gestirla e dominarla.
L’evangelista ci annuncia che non basta fare delle cose buone, perché queste possono essere compiute sulla sabbia del proprio io che non ha altro sbocco se non la rovina di se stesso.
Gesù non rimprovera affatto la nostra incoerenza che ci porteremo con noi fino alla fine e sarà continuamente luogo di umiltà, di fiducia rinnovata e di conversione costante. Gesù apostrofa l’autosufficienza di chi si ritiene a posto e dice: “Signore, signore!”, senza permettere mai che questo Signore sia realmente il Signore della sua vita.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM