Commento al Vangelo di domenica 29 Novembre 2020 – p. Alessandro Cortesi op

p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

Le prime domeniche di avvento ci invitano a vivere la fede nel tempo che ci è dato. Ci è richiesto di attendere e stare con gli occhi aperti andando incontro al Signore che viene: è il Signore risorto che tornerà e chiede a noi di vivere il presente con impegno e fiducia. La nostra vita è passaggio e tende ad un incontro. Siamo chiamati ad attuare una responsabilità nella storia, e questo richiede uno sguardo al presente e una tensione all’oltre.

Il profeta ‘terzo Isaia’ offre un messaggio sul volto di Dio ‘Tu Signore sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore … Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani’.

Il nome di Dio è ‘padre’ e ‘liberatore’. E’ lui il parente vicino, prossimo, che interviene perché non si perda la libertà, dono prezioso del cammino dell’esodo che costituisce l’identità più profonda dei credenti.

La vita umana è come argilla a cui le mani dell’artigiano possono dare forma nuova. In quest’immagine si delineano i tratti della vita umana come terra che richiede di essere formata e di lasciarsi plasmare in un’opera di creazione che continua e non è compiuta. Scoprirsi nelle mani di Dio, stare nelle sue mani, significa anche questo: non solo la percezione di essere custoditi da colui che è vicino, ma anche la disponibilità a lasciarsi cambiare come l’argilla viene plasmata dal vasaio.

Tra questi nomi si fa strada un’invocazione perché si renda presente: ‘se tu squarciassi i cieli e scendessi!… Il contesto è quello della devastazione conseguente all’esperienza dell’esilio che diviene paradigma di ogni momento di prova: “perché ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, perché non ti si tema? Ritorna per amore dei tuoi servi…”. ‘Ritorna’: è un grido che si fa preghiera ‘convertiti’. E’ una intensa supplica. ‘Ritorna’ è voce colma di attesa, che sgorga da chi si sente disperso e senza direzione: parla di un convertirsi di Dio a noi che rende possibile il nostro convertirci a Lui da una condizione di desolazione: avvizziti come foglie d’autunno, come panni che devono essere lavati. ‘Ritorna’: l’avvento ci richiama a non smarrire il senso del cambiamento e della conversione… è un tempo per lasciare spazio al desiderio di un incontro che trasforma e plasma un mondo nuovo. L’avvento è segnato da una tensione da un’attesa, attesa che riguarda la vita personale e il cammino della storia.

Dio, il Padre, è fedele e chiama alla comunione. Il termine che Paolo usa quale attributo di Dio stesso ha la medesima radice del termine ‘credere’. L’affidamento a Dio in un incontro personale che trasforma l’esistenza – e qui Paolo non può non aver presente la sua esperienza personale – è fondato sulla scoperta di una fedeltà che precede, afferra e trasforma la vita. E’ la fedeltà di colui che non viene meno alla sua promessa. Questa fedeltà rinvia alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo e in lui ad un incontro nuovo che si apre a tutta l’umanità.

“E’ come un uomo (il Signore) che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare”.

La parabola riportata da Marco non è indirizzata ad esortare i servi a ‘prendere il potere’ costruendo una situazione ben installata e tranquilla ma ha al suo centro l’invito a ‘stare svegli’: un uomo lascia la propria casa per un viaggio e lascia a ciascuno dei suoi servi un compito; e incarica di vegliare: ‘vegliate, perché non sapete quando viene il signore della casa’. E’ suggerirmento di una spiritualità degli occhi aperti tesi a leggere i segni dei tempi. La parabola di Gesù rivolta ai capi e responsabili religiosi richiamandoli all’incarico di una custodia, dalla comunità dopo la pasqua è riletta come appello all’attesa del ritorno del Figlio dell’uomo. ‘vigilate’, indica la condizione di chi non si lascia prendere dal sonno. E’ questo il medesimo invito rivolto ai discepoli nell’orto degli ulivi: ‘vegliare e pregare’ (Mc 14,37-39). L’attesa della fine dei tempi e del ritorno del Signore non può andare scissa dalla disponibilità a seguire il Signore nella sua passione. Colui che tornerà un giorno sulle nubi del cielo è colui che ha percorso la strada della passione.

E’ innanzitutto attenzione per non lasciarsi irretire da chi chiede di farsi seguire con annunci apparentemente religiosi ma dove non c’è il vangelo: sono gli annunci dei falsi profeti (Mc 13,22). Vegliare implica una disponibilità ad esser protesi in una cura che lasci spazio all’altro, che sta arrivando, è presente e va incontrato. Sta qui il fare propria la via di Gesù.

L’avvento richiama ad un cammino nell’attendere il Signore in questa storia, nel lasciargli spazio, nel leggere i segni della sua chiamata che ci converte a Lui.

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