1a Domenica di Avvento – Vegliare, il principio dell’amare
Mc 13,33-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 33 «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34 È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35 Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36 fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. 37 Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vedono. Commenti ai Vangeli della Domenica dell’Anno B” disponibile presso:
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«Vegliate!». È questo l’invito incalzante che il Vangelo della prima Domenica d’Avvento rivolge ai suoi lettori, quasi un grido che sveglia dal torpore in cui il credente rischia di cadere nel tempo presente, caratterizzato dall’assenza fisica di Gesù. L’attesa desiderosa e operosa del suo ritorno glorioso alla fine dei tempi, invece, da una parte rende misteriosamente presente Colui che è assente, dall’altra ci fa trovare preparati all’incontro definitivo con Lui alla conclusione della nostra storia personale e di quella universale.
Quest’ultima viene presentata da Marco al cap. 13 come un susseguirsi di catastrofi, persecuzioni e tribolazioni, a partire dalla profezia sulla distruzione del tempio (v. 2), che segna l’inizio del cosiddetto ‘discorso escatologico’ di Gesù sulle cose ultime. Le parole del Signore, più che dirci le ultime cose che accadranno, ci svelano il senso ultimo degli eventi che avvengono nel corso della storia umana, segnata da una costante di dolore e peccato. Tuttavia Dio guida le vicende secondo un disegno di salvezza, impedendo che i mali che colpiscono i credenti spengano la speranza nelle sue promesse; al contrario, essi diventano un’occasione per dare testimonianza di fede (v. 9), fino alla venuta del Figlio dell’uomo (v. 26), che comporterà la vittoria definitiva sul male. Il passaggio profeticamente annunciato dalla tribolazione al ritorno nella gloria di Cristo anticipa l’altro passaggio storico ormai imminente, dalla morte alla risurrezione di Gesù, il cui racconto inizia proprio al cap. 14.
Poiché siamo certi del ritorno del Signore, pur non conoscendone il giorno e l’ora (v. 32), non possiamo mancare all’appuntamento con Lui! Chiarito il contesto che li precede, i vv. 33-37 costituiscono una esortazione alla vigilanza, che ricorre due volte secondo lo stesso movimento (vegliate – perché non sapete il momento del ritorno – non dormite), come se un’onda investisse ripetutamente il lettore assopito sulla spiaggia, ricordandogli che è pericoloso rimanere addormentati in riva al mare, anche se piacevole, perché non sai mai ciò che il mare può riservarti.
Vegliare per Marco è anzitutto mantenere vivo lo sguardo sulla realtà ed è un atteggiamento indispensabile per ascoltare la parola di Dio (4,12), per stare lontani dal lievito dei farisei (8,15), per non prestare fede a quelli che predicono il futuro (13,5.21-23). Lo sguardo vigilante deve essere rivolto anche alla propria «casa» (vv. 34-35), alla propria vita che è tempio dello Spirito e che in quanto tale va custodita, alla propria dimora interiore, poiché Dio ci parla attraverso l’intima risonanza che un evento esterno suscita in noi. Vegliare è soprattutto vivere la fedeltà operosa, «ciascuno il suo compito» (v. 34) ricevuto da Dio. L’evangelista per spiegare tale concetto intreccia due diverse parabole: quella dei servi a cui sono affidati i beni del padrone e quella del portiere che ne attende il ritorno. Lasciare a qualcuno la responsabilità di quanto hai di più caro è segno di una fiducia smisurata, come quella del Signore che mette nelle nostre mani il creato e le creature: siamo all’altezza di un compito così elevato? Inoltre, il portiere ha la responsabilità di richiamare tutti i residenti della casa, per cui la vigilanza si comprende anche come un invito rivolto ai fratelli e non solo come un atteggiamento personale.
Chi è capace di vegliare significa che ama, come fa una mamma col suo bambino, come tuttavia non faranno Pietro, Giacomo e Giovanni al Getsemani. E noi siamo capaci di un amore che ci tiene desti fino a seguire Gesù sulla croce? I quattro tempi, che al v. 35 sono indicati come possibili momenti del ritorno del padrone, alludono infatti a quattro rispettive fasi della passione di Cristo: la «sera», quando uno dei dodici lo tradisce (14,17); «mezzanotte», quando Gesù viene interrogato dal sommo sacerdote (14,60-62); il «canto del gallo», quando Pietro lo rinnega (14,72); il «mattino», quando il sinedrio consegna Gesù a Pilato (15,1). È come se il Signore venisse nell’ora in cui si consuma l’infedeltà dell’uomo, perché questi possa incontrare la misericordia di Dio.
La vigilanza è infine un atteggiamento che riguarda non un gruppo ristretto ma tutti indistintamente (v. 37), per cui ciascuno è invitato ad immaginarsi il volto dell’Atteso. Vegliare è così un esercizio comunitario di speranza, è sognare ad occhi aperti l’Amore, invece di cadere nell’illusione del miraggio. È attendere, ma già intravedere e gustare. Vegliare è orientare il presente dell’uomo al futuro di Dio.