Nascosto tra i maledetti
Ricordo ancora quella lezione di Antico Testamento. Si commentavano alcuni scritti del prof. L. Alonso Sch-kel S.I. Al termine della riflessione, una affermazione dello studioso che folgorò la mia attenzione: l’antropologia biblica ci insegna che l’uomo è fatto per rendere omaggio, alla fine della sua vita, a qualcuno o qualcosa. La grande rappresentazione del giudizio universale nel vangelo di Matteo ricorda che la nostra storia cammina verso un finale in cui ci troveremo tutti a rendere omaggio al Re dei re (Ap 19,16). Un re che giudica assiso sul suo insolito trono: la croce, da cui tutto per noi è ricominciato e cambiato. Questo omaggio sarà però diversificato. S.Giovanni Bosco lo espresse con la sua proverbiale semplicità: tutti renderemo gloria al Signore. Alcuni daranno gloria alla sua Misericordia ed entreranno nella sua pace, altri daranno gloria alla sua Giustizia, e saranno nei tormenti. Saremo stati però noi a scegliere come glorificarlo.
La maestosa scena iniziale presenta la riunione di tutti i popoli davanti a Gesù, ubicando subito a quale livello si pone il suo giudizio (Mt 25,31-33). Infatti, il re che giudica si identifica nel pastore di cui parla Ezechiele nella 1a lettura. A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri. Un pastore che ha sempre agito per il bene delle pecore, secondo il profeta. Oggi diremmo “un pastore con l’odore delle pecore”. Dunque Gesù stesso è criterio di discernimento e paradigma di riferimento del giudizio che si opererà. Che significa? I dialoghi successivi lo chiariscono.
L’amore per l’uomo, per l’uomo più povero, è per il Signore “la misura” dell’amore o del non amore verso di Lui: tutto quello che avete fatto (o non fatto) a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Sorprendente rivelazione: il giudizio lo scriviamo noi stessi. Il re si limiterà a leggere quello che avremo creduto e scritto, nelle pagine della nostra storia personale, con il nostro fare o non fare. Il racconto ha un obiettivo parenetico: farci pesare bene ogni istante e ogni relazione umana della nostra esistenza. L’amore all’uomo “più piccolo” o la sua negazione decidono qui ed ora del mio destino eterno.
È interessante osservare come entrambi i gruppi che si trovano alla presenza del re, sembrano esprimersi allo stesso modo. Interrogano il re sul “quando mai” si è verificato quello che egli proclama nella sua lettura. Solo che la inconsapevolezza dei giusti probabilmente rivela la sana consapevolezza dell’aver mancato in qualche modo all’amore verso i più piccoli. Atteggiamento che indica un amore sincero che si è cercato di donare ad essi a causa di Gesù. Mentre la inconsapevolezza dei dannati forse rivela la falsa sicurezza di non sentirsi responsabili della mancata accoglienza dei più piccoli.
Atteggiamento proprio di chi si giustifica sempre del male non commesso, perché non si è data importanza decisiva al bene omesso. Come ha sottolineato sapientemente Papa Francesco domenica scorsa, alla giornata mondiale dei poveri: Noi, a volte, pensiamo che essere cristiani sia non fare del male. E non fare del male è buono. Ma non fare del bene, è peggio. Noi dobbiamo fare del bene, uscire da noi stessi e guardare, guardare negli occhi coloro che hanno più bisogno (Papa Francesco, Angelus del 15.11.2020).
Dunque ci si inganna a pensare di servire e omaggiare Dio “saltando” l’amore al più piccolo, nella fede o anche solo umanamente. Gesù non dice che si identifica con l’affamato, l’assetato, lo straniero, l’ammalato, il carcerato che sia però cristiano. In questo senso è stato giustamente detto che Mt 25,31-46 sia la pagina evangelica più universale di tutta la Scrittura. La singolarità di Matteo sta nel presentarci il giudice dell’universo come un re che, fedele alla sua storia tra gli uomini di cui condivise in tutto la loro debolezza, rimane anche oggi misteriosamente nascosto sotto le spoglie sconosciute dei fratelli più piccoli.
Un re nascosto quindi, ma realmente presente nei più poveri tra i poveri. Eppure molti continuano a parlare della fedele scelta di Dio come se non fosse al centro del vangelo, come se la scelta di amarlo in essi fosse per noi “opzionale”. Il monito che viene dalla Parola di Dio è anche oggi perentorio: se vuoi essere tra i benedetti, cercalo e amalo tra i maledetti. Da una celebre pagina di Teresa di Calcutta. Lo chiamava per nome, Onil, e gli sussurrava in bengali parole di conforto. Nessun ospedale aveva voluto ricoverarlo. Nessuno, in quella città di cinque milioni di abitanti, dove sono censiti ufficialmente tremila quartieri poveri, aveva il tempo di stringergli la mano mentre stava per spirare. “Come ti senti. Onil?” – chiese madre Teresa.
Per il vecchio non c’era più speranza: la denutrizione lo aveva ormai sospinto al di là del punto dal quale si può ancora tornare indietro. Niente, né il cibo, né la scienza, poteva più salvarlo. Madre Teresa gli toglieva pazientemente dei vermi dal corpo. Qualcuno le disse: “non hai paura di quei vermi? Non ti fanno schifo?” – “Sto prendendomi cura di Gesù” rispose lei. Clinicamente Onil era già morto, ma riusciva a parlare ancora. “Che strano, sono vissuto come un animale, ed ora muoio come un essere umano.” Subito dopo spirò con un sorriso tra le braccia della suora che pregava su di lui in bengali (Teresio Bosco, Madre Teresa di Calcutta Ed. Elledici, 1991, pp.3-5)
AUTORE: d. Giacomo Falco Brini
FONTE: PREDICATELO SUI TETTI
SITO WEB: https://predicatelosuitetti.com