Il commercio non è certo un peccato. È un lavoro dignitoso che consente a molti di sopravvivere e a tanti altri di comprare ogni giorno quello di cui hanno bisogno.
Gesù, in questo passo del Vangelo, non si scaglia certo contro l’azione di vendere, ma condanna fortemente la scelta di rendere un luogo di preghiera come il tempio, un luogo di commercio. Questo non può accettarlo. Come per ogni attività umana, è il contesto a fare la differenza. È il contesto a definire quell’attività come un fatto positivo o come qualcosa da evitare.
Non si può trasformare il tempio, che dovrebbe appartenere a Dio, a una bancarella su mettere in mostra la mercanzia. Farlo per trarne profitto non solo è sbagliato in sé, ma produce anche l’effetto di disturbare e distogliere le persone dal vero obiettivo per cui si recano lì.
È nella profanazione della sacralità del tempio che il venditore diventa ladro, perché ruba a Dio la centralità che gli dovrebbe spettare di diritto in quel luogo.
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