Commento al Vangelo di domenica 22 Novembre 2020 – p. Ermes Ronchi

La verità ultima del vivere: l’amore

Padre Ermes Ronchi commenta il brano del Vangelo di domenica 22 Novembre 2020.

Una scena potente, drammatica, quel “giudizio universale” che in realtà è lo svelamento della verità ultima del vivere, rivelazione di ciò che rimane quando non rimane più niente: l’amore. Il Vangelo risponde alla più seria delle domande: che cosa hai fatto di tuo fratello?

Lo fa elencando sei opere, ma poi sconfina: ciò che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me! Straordinario: Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da arrivare a identificarsi con loro: l’avete fatto a me! Il povero è come Dio, corpo e carne di Dio. Il cielo dove il Padre abita sono i suoi figli.

Evidenzio tre parole del brano:

  1. Dio è colui che tende la mano, perché gli manca qualcosa. Rivelazione che rovescia ogni precedente idea sul divino. C’è da innamorarsi di questo Dio innamorato e bisognoso, mendicante di pane e di casa, che non cerca venerazione per sé, ma per i suoi amati. Li vuole tutti dissetati, saziati, vestiti, guariti, liberati. E finché uno solo sarà sofferente, lo sarà anche lui. Davanti a questo Dio mi incanto, lo accolgo, entro nel suo mondo.
  2. L’argomento del giudizio non è il male, ma il bene. Misura dell’uomo e di Dio, misura ultima della storia non è il negativo o l’ombra, ma il positivo e la luce. Le bilance di Dio non sono tarate sui peccati, ma sulla bontà; non pesano tutta la mia vita, ma solo la parte buona di essa. Parola di Vangelo: verità dell’uomo non sono le sue debolezze, ma la bellezza del cuore. Giudizio divinamente truccato, sulle cui bilance un po’ di buon grano pesa di più di tutta la zizzania del campo.
  3. Alla sera della vita saremo giudicati solo sull’amore (San Giovanni della Croce), non su devozioni o riti religiosi, ma sul laico addossarci il dolore dell’uomo. Il Signore non guarderà a me, ma attorno a me, a quelli di cui mi son preso cura.

[…]

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Un altro commento:

TOCCO IL POVERO E SFIORO IL CIELO

Matteo dipinge una scena potente e drammatica, che siamo soliti chiamare il giudizio universale, ma che sarebbe più esatto definire “la rivelazione della verità ultima, sull’uomo e sulla vita”.
Padre nostro sei nei cieli, noi preghiamo, ma i cieli del Padre sono i suoi figli!
Il povero è il cielo di Dio. Quando la tua mano tocca un povero dalla vita piagata, le tue dita sfiorano il cielo di Dio.
Perché il Signore sta nel posto dove noi non vorremmo mai essere, nell’ultimo, all’ombra delle retrovie; in coloro che incarnano non i tuoi sogni, ma le tue paure, i tuoi dolori.

Venite, benedetti: nel cielo di Dio entreremo solo passando attraverso quella creatura dall’odore acre, dagli occhi dai mille colori come le mille sfumature della povertà, legata sempre a doppio nodo alla solitudine.
Una cosa mi affascina del vangelo: argomento del giudizio su di me, saranno solo le cose buone, non la mia fragilità colma di paure.
Matteo elenca sei opere buone, vaste quanto è vasto il campo del dolore umano.

L’umiltà del bisogno è così importante che Dio vi ha legato la salvezza, stretta a un po’ di pane per il viaggio, un bicchiere d’acqua, un vestito donato, ai passi di una visita, a un po’ di coraggio per oggi e per domani.
Non alle cose, ma al cuore detto dalle cose.

Se guardi il povero, ti senti naufragare. Perché ti obbliga a confrontarti con le cose estreme, con la vita a rischio; entra nel tuo orizzonte come una metafora vivente di fallimento e di morte. Ma è anche maestro di fede perché incarna l’evidenza che l’uomo vive solo perché custodito da altri, che esiste solo perché accolto; solo SE accolto.

Misura dell’uomo e di Dio, senso della storia è il bene. Davanti a Lui non temo la debolezza, ho paura solo delle mie mani vuote.
La verità ultima dice anche che è possibile fallire la vita: andatevene da me, maledetti.
Gli allontanati, che male hanno commesso?

Non quello di aggiungere male a male; il loro peccato è ben più grave, è non aver fatto niente.
Non basta limitarsi a non fare del male alle persone. Si uccide anche in silenzio, restando alla finestra. Non impegnarsi per il bene comune, contro la fame e l’ingiustizia, lo stare a guardare, è farsi complici della corruzione, legittimare il peccato sociale, lasciare campo libero alle mafie.

Il vero peccato di oggi, dice papa Francesco, è la “globalizzazione dell’indifferenza”.
Esigente bellezza di questo Vangelo.
Ora è il tempo in cui prendersi cura, ed è così importante e, in fondo, così facile…
Il nostro cielo, il nostro avvenire, è quel bene che io e te doneremo al povero, all’invisibile, all’ultimo.
Il nostro futuro non si attende, come una sentenza, ma si genera!
Se c’è qualcosa di eterno, se qualcosa di noi rimarrà, questa cosa è solo l’amore, perché oltre l’uomo non c’è nulla, tantomeno il Regno di Dio.

AUTORE: p. Ermes Ronchi FONTE: Avvenire PAGINA FACEBOOK

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