“Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura”. Così parla il Signore nel libro del profeta Ezechiele. Come fa il Signore Dio a cercare le sue pecore? Troviamo la risposta nel brano evangelico: “Il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria…”. Il Messia compie tutte le opere che Dio promette di compiere a favore degli uomini. Egli si comporta come un pastore: anzitutto riunisce le pecore e si assicura che ci siano tutte. Il suo occhio è vigilante e veritiero: egli sa benissimo chi è suo e chi non è suo. Non gli piace la confusione. Chi non gli appartiene avrà la sua attenzione a parte.
Come fa il Figlio dell’uomo a discernere? Egli è anche re, il re del regno preparato fin dall’inizio, pensato per gli uomini che gli sono fedeli, un regno in cui non si mescola il bene col male, l’adesione a lui con il rifiuto, l’obbedienza al Padre con la disobbedienza, la somiglianza a Dio con la dissomiglianza. Ecco che il Figlio dell’uomo, Figlio anche del Padre, e re, dopo aver riunito tutte le genti, comincia il giudizio. Che cosa esamina questo re per giudicare le genti, cioè i popoli, di ogni religione? Troviamo strano che egli non prenda in considerazione le ore di preghiera o le grandi opere, e ci meravigliamo che proprio lui si senta beneficato dagli uomini e si sia immedesimato in coloro che sono bisognosi delle cose più elementari. Chi manca di cibo, di bevanda, di vestiti, di salute, di casa, di libertà e di pienezza di umanità, questi sono il corpo di Cristo, l’immagine di Dio che deve essere completata. Questi sono il segno che contraddistingue i buoni dai malvagi: chi li ama, ama colui che per loro ha dato la vita, ama colui che è stato mandato per loro; chi li ama occupandosi di loro è gradito a Dio.
Il “segno di contraddizione” che divide gli uomini è sempre e solo Gesù, il Figlio del Dio vivente: ma lui si nasconde, facendosi incontrare in tutti i tempi e in tutti i luoghi, nascosto in coloro che hanno bisogno di attenzioni, di cure, di amore. Chi si piega su di loro per curarli, fasciarli, sfamarli, visitarli, accoglierli, compie l’amore del Padre, quell’amore che Ezechiele descrive nella pagina che abbiamo udito oggi. Essi sono quindi collaboratori del Messia, dell’inviato di Dio, sono la mano tenera del Cristo, possono essere riconosciuti membra del suo corpo che porta nel mondo l’amore del Dio vivente. Amando con l’amore che il Padre ha messo nel cuore dei suoi figli, rivelano il vero volto di Dio.
Rimaniamo forse meravigliati dalla seconda parte della parabola: il re, buono e generoso, si comporta molto duramente con coloro che hanno badato ad amare soltanto se stessi, a fare i propri interessi terreni chiudendo gli occhi davanti alle necessità degli uomini. Questi non si sono comportati da fratelli, e perciò non possono essere accolti e mescolati con i figli. La loro sorte è quella dell’egoismo: l’egoismo crea sofferenza, rompe ogni comunione, genera solitudini, fa sgorgare lacrime e getta nell’angoscia persino i propri benefattori. Coloro che chiudono gli occhi e le mani proveranno queste sofferenze come supplizio eterno.
Noi oggi parliamo spesso della misericordia di Dio. Nessuno è misericordioso come lui, che tiene il cuore aperto a tutti e pronto al perdono per i peccati più gravi che l’uomo possa commettere. La parabola di Gesù ci dice che non possiamo però vivere nell’egoismo, altrimenti non saremo capaci di vedere e di ricevere la pur grande misericordia del Padre. Egli non può trattare gli uomini come si trattano i burattini: egli rispetta le nostre scelte. Se noi scegliamo l’egoismo avremo alla fine il frutto dell’egoismo, la sofferenza definitiva ed eterna, e la privazione della comunione dell’amore.
Il fatto che Dio sia misericordioso ci apre il cuore a ricevere il suo perdono, ma anche a mettere i nostri occhi, le nostre mani, il nostro cuore e le nostre ricchezze, a disposizione del suo cuore attento ad ogni persona che soffre la mancanza di vita, la mancanza del pane del corpo e del pane dell’anima.
In questo modo inizia la vittoria del Signore della vita, risorto dai morti, su quel nemico che ci tiene sempre nella paura e nella sofferenza. Inizia la vittoria di Gesù sulla morte, o meglio, con il nostro amore concreto per i sofferenti continua ad essere annientata la morte. Uniti a Gesù noi stessi siamo vittoriosi: la nostra gioia diventa speranza per molti, anticipo dei beni futuri, dimostrazione che Dio è amore, è amore per tutti coloro che lo attendono.
Gesù, re dell’universo, re del mio cuore, ti adoro, ti amo, ti voglio servire e seguire!