Tantissimi gli elementi di riflessione che offre la nota parabola del “ servo fannullone “.
Evidenziamone alcuni.
“ Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì “
Il versetto è la sintesi dell’opera di Dio.
Il Signore ( l’uomo ) ha chiamato tutti noi ( i servi ) per chiederci di “ metterci al servizio “ dei suoi beni, che ci ha consegnato distribuendoli in modo tale che ciascuno ne abbia secondo le sue capacità.
Tutti, quindi, a prescindere da “ quanto “ abbiamo ricevuto, siamo chiamati al servizio del Regno, senza essere “ invidiosi “ degli altri.
Devono scomparire, dall’orizzonte del cristiano, concetti quali “ quello ha avuto in dono di più dalla vita, è più ricco, si puo’ permettere tanto “.
Il cristiano ringrazia per quello che ha ricevuto, che è comunque tanto ( basterebbe pensare al dono della vita ), ed ha, come unico scopo, di ricambiare il dono facendolo fruttare mettendosi a servizio del Regno.
E’ una logica importantissima, da applicare sia alla vita “ materiale “ che a quella “ spirituale “: fare bene quello che siamo chiamati a fare, impegnandoci per migliorare, a vantaggio di tutti, il pezzo di Regno che ci è stato affidato.
Quali le conseguenze di un agire cosi’?
“ Prendere parte alla gioia del proprio padrone “.
Pochi giorni fa, precisamente Martedi’ scorso, la liturgia ci ha proposto la parabola in cui Gesu’ ci invitava ad essere “ servi inutili “, chiamati cioè a non cercare gratificazioni ma a fare il nostro dovere dicendo, a termine dell’opera: “ Abbiamo fatto quanto dovevamo fare “.
Ecco, quando saremo faccia a faccia con il nostro Creatore, se potremo dirgli “ abbiamo fatto quanto dovevamo fare “ ci sentiremo, con immensa gioia, rispondere: “ Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone “.
Sarà il compimento perfetto di una vita terrena già vissuta in pienezza perché in attuazione della nostra vocazione.
Sorte completamente differente ci toccherà se saremo “ servi fannulloni “.
Chi sono questi servi?
Sono gli uomini schiavi della “ paura “, egoisti, che mirano a tenere solo per se quello che, senza merito, hanno ricevuto.
Vivere in questo modo equivale a “ vivere da morti “, a spegnere la propria vocazione, a tradire la propria missione.
Si condurrà un’esistenza grama, sempre sulla difensiva, che avrà, come unico risultato, quando ci si ritroverà faccia a faccia con il Signore, il sentirsi apostrofare quale “ servo malvagio ed infingardo “, cioè “ cattivo e passivo “, e ad essere escluso dalla gioia, non perché il padrone è cattivo ma perché è giusto e, correttamente, preferisce dare “ il talento sprecato “ a chi lo fa fruttificare.
Fermiamoci quindi oggi a riflettere su questa parabola e analizziamo la nostra vita alla luce di quanto, con essa, Cristo ci sta dicendo.
Ognuno si chieda quindi: 1) quali talenti ho ricevuto?; 2) li sto facendo “ fruttificare “ o sono ripiegato su me stesso e li ho sotterrati perché sono dominato dalla “ paura “?
Animo. Siamo ancora in tempo per trasformarci da “ servi malvagi ed infingardi “ in “ servi buoni e fedeli “.
Buona Domenica e buona riflessione a tutti.
A cura di Fabrizio Morello