Ma da dove viene, questo Sposo, atteso dalle vergini?
Il Cantico dei Cantici dice che l’amata si alza, e fa “il giro della città per le strade e per le piazze”, e dal suo cuore sgorga un grido di smarrimento, forse di angoscia: “Voglio cercare l’amore dell’anima mia. L’ho cercato ma non l’ho trovato” (Ct 3,2). Così le dieci vergini della parabola, che escono incontro allo Sposo. E ci si immagina di vederlo là, dentro un palazzo meraviglioso, ad attenderle, perché comunque, come raccontano altri passi evangelici, egli è il Figlio del re, e il banchetto nuziale sarà imbandito nelle ricche sale del padre di lui.
Le donne vanno, cinque sagge e cinque stolte, ma tutte spinte dallo stesso desiderio di lui, dalla stessa passione di amore che abita il cuore delle fanciulle e rende fresco il loro danzare. Raccontano gli esegeti che era tipico del rito nuziale ebraico portare piccole lampade in mano, da parte delle future spose, che facilmente esaurivano l’olio per la fiamma. E si intrecciavano così tradizionali danze per riempire di nuovo i piccoli preziosi oggetti, a illuminare la notte dell’attesa.
Questa attesa dello Sposo si prolunga, la trepidazione cresce, forse la stanchezza, ma soprattutto la sensazione di essere al cospetto di un mistero grande.
Dove sta, lo Sposo? Perché tarda?
È la ferita della Chiesa “malata d’amore” (Ct 5,8), che va e aspetta. È il mistero di un Oltre, che sappiamo essere il mistero del Dio creatore, che avvolge l’intera creazione, che si affaccia e scompare (cfr. Ct 5,4-6). Il sogno che dimora nell’intimo delle giovani donne è che l’abbraccio dell’Amato avvolga il proprio corpo esile e bello, e che sotto la testa scivoli il braccio che sostiene chi si appoggia per riposare (cfr. Ct 2,6). Dormire è segno di abbandono, le vergini sembrano ripetere il mistero originale del sonno di Abramo, che riporta alla condizione di fragilità ma anche di consegna, inerme, a Colui che tutto può perché tutto conosce.
Si appisolano, le fanciulle, e la notte avanza. Quando si alza il grido che annuncia l’arrivo dello Sposo la sorpresa coglie chi non è preparata. La fiamma va riaccesa, solo chi porta luce in sé può riconoscere Colui che viene. Perché la luce stessa ha le striature dell’Amato.
Cosa sono, infatti, quei piccoli vasetti colmi di olio che solo le sagge hanno preso con sé?
E perché non li possono condividere per dare speranza anche alle altre? Sembra di poter riconoscere in essi il simbolo di ciò che, nella vita, nel cammino del giorno, esse hanno incontrato e riconosciuto come passaggio dell’Amato. Sono la scia del suo profumo, le tracce dell’Unto che – ora lo cominciamo a intuire – non sta dentro le stanze del palazzo, ma è uscito e si muove giorno dopo giorno fra le vie della città.
Ogni ragazza, come ogni altra persona che viene al mondo, è visitata dallo Sposo, innamorato di lei, dentro le ordinarie vicende della vita. Ed è lì che è possibile cogliere la Sua presenza, discreta, ma fedele, silenziosa, ma reale.
L’Amato seduce, perché è innamorato.
La vigilanza è l’arte di saper raccogliere ciò che di Lui è sparso fra i mattoncini delle viuzze dell’esistenza, i segni del Suo transito, con le fermate, appoggiato ai nostri muri, dall’odore di pace per sconfiggere le paure.
Le vergini sagge sono coloro che hanno saputo stare attenti alle piccole visite dentro l’esistenza normale, da parte del Figlio del Re, che sempre si muove per primo, prende l’iniziativa e viene incontro. È Lui stesso che si presenta al tempio della vita comune, abbandonando definitivamente i confini del sacro, per mostrare che ogni attimo, se vi è un Amato che ama, diviene sacro. Le vergini sagge danzano della gioia di un fidanzamento riconosciuto e goduto nel via vai d’ogni giorno, che è raccolto dentro i vasi di creta della propria fragilità, ma sono già anticipazione del tesoro dell’incontro definitivo.
Così esse non possono cedere quelli che sono i propri personalissimi passi di intimità con lo Sposo, quelli che rendono possibile riconoscerne il profumo e il sorriso nel momento delle nozze. Così ciascuno di noi dovrà fare i conti con la propria capacità di scoprirsi amato gratuitamente, in segni piccoli ma concreti, dentro la propria storia, che diviene – qui e ora – appassionata storia d’amore. Anche nella sofferenza, anche nello smarrimento del tempo.
E così all’accadere della Sua venuta, lo stupore sarà tanto.
Perché non da un maestoso portone di una reggia, né dai segreti nascosti di inesplorabili stanze principesche scenderà a noi lo Sposo, bensì apparendo, pure Lui, trafelato e gioioso da una viuzza laterale a fianco della piazzetta dove, con le vergini, anche noi ci saremo assopiti. L’ingresso al banchetto nuziale è passo condiviso, tra l’Amato e l’umanità Amata, tra Egli e ogni sua creatura prediletta, che attraverseranno insieme l’ultima soglia senza il tremore della solitudine, ma riscaldati entrambi dal reciproco scambio di riverberi di luce e di brezze profumate.
La morte, così, non fa più paura. E la vita diviene il delicato e commovente preludio di una danza di festa, eterna, i cui passi, fin d’ora, sono sempre di coppia.
Padre Luca Garbinetto, Pia Società San Gaetano – Fonte