Gli indizi di un diverso modo di presentare Dio c’erano già tutti. Tutto, infatti, era cominciato quel giorno nella sinagoga di Nazaret, quando, prendendo in mano il rotolo del profeta Isaia, Gesù aveva volutamente omesso di essere stato inviato a proclamare un giorno di vendetta per il nostro Dio.
Quella omissione da parte di Gesù rivendicava come a Dio non si addice l’attribuzione di una potenza vendicativa: questa è l’immagine che l’umano elabora in base ad un meccanismo proiettivo secondo cui la divinità è comunque un essere potente e forte, tale da suscitare rispetto e timore, capace di ciò che all’uomo non è consentito, presenza severa e indiscussa, da ingraziarsi con appropriati riti perché non abbia di che lamentarsi di noi (l’atteggiamento del fratello maggiore). Noi tutti abbiamo ereditato questa immagine di Dio, un Dio dotato di straordinaria potenza, di autorità incontrastata e incontestabile. Ma il Dio potente, nel nostro immaginario finisce sovente per diventare il Dio prepotente, che chiede di essere servito – io ti servo da tanti anni e tu non… – non amato, proprio come accade ad un padrone.
Un tale Dio prima o poi porta alla ribellione: arriva un giorno in cui per essere finalmente liberi bisogna recidere il legame con lui. La rabbia reattiva porta a comportarsi con lui proprio come ogni adolescente nei confronti dei suoi genitori. E infatti: il figlio più giovane… partì per un paese lontano…
Gesù, invece, era stato inviato a proclamare un anno di grazia del Signore.
E al Battista che gli aveva mandato a chiedere se davvero era lui il messia, Gesù aveva evocato i segni che attestavano la veridicità del suo essere messia: i ciechi recuperano la vista, gli zoppi camminano e ai poveri è annunziata la buona novella. I gesti e i segni della cura nei confronti dei poveri questo attesta come è Dio. E questo sarebbe dovuto bastare: e, infatti, al Battista bastava. Per cui, fosse stato per Gesù, la parabola non l’avrebbe nemmeno raccontata: di per sé non ce n’era bisogno. Le opere che egli andava compiendo erano sufficienti per comprendere di essere di fronte a una rivelazione inedita di Dio. Il nostro essere introdotti nell’esperienza più vera dell’amore era il motivo di quei gesti di Gesù che noi definiremmo addirittura spregiudicati.
Certo disorienta questo modo di presentare Dio, un Dio che non ripaga secondo le nostre colpe e che, invece, largamente perdona. Non a caso scribi e farisei mormoravano. Mormorano perché se così stanno le cose, viene giù tutto il loro impianto di religione, di pensiero, di vita. Cambia, appunto, persino la teologia. E già. Perché Gesù non viene a dirci anzitutto ciò che l’uomo è chiamato a compiere per essere finalmente gradito agli occhi di Dio. Egli viene, invece, a metterci a parte di quello che passa nel cuore stesso di Dio: mai rassegnato alla perdita di uno solo dei suoi figli. Il Dio dell’un per cento! Una volontà ferma e irriducibile di cercare ciò che era perduto anima il cuore di Dio.
Finché non la ritrova: di solito, quando uno perde qualcosa, ad un certo punto vinto dalla stanchezza e dall’impossibilità finisce per lasciar perdere. Non così Dio: finché non la ritrova. Crede che nessuna situazione, per quanto negativa, possa precludere definitivamente la possibilità di una vita nuova. Anzi, proprio l’errore, lo strappo, la ferita, il legame negato brutalmente, diventano occasione per accedere ad una condizione nuova del rapporto con lui.
Il perdono offerto e la misericordia sperimentata non strappano le pagine buie della nostra vicenda: proprio quelle pagine sono l’esperienza nella quale ci è dato sperimentare la sovrabbondanza dell’amore del Padre e il motivo di una festa alla quale sta a noi scegliere di voler partecipare o meno. Le pagine buie della nostra memoria sono quelle nelle quali Dio non ha mai posto sotto intermittenza la sua paternità anche se noi avevamo posto sotto intermittenza la nostra figliolanza.
Anche allora egli ha continuato a volerci, a sceglierci, a cercarci, a non dimenticarci. Cambia la teologia… eccome.
Nasce qui la scelta di vita cristiana: dalla consapevolezza che Dio ha continuato a volerci proprio quando noi non avremmo voluto sapere più nulla. Nasce, cioè, dall’esperienza di un amore gratuito, dato in anticipo e mai legato al grado di prestazioni o alla capacità di riconoscerlo e accoglierlo.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM