Don Luciano Condina – Commento al Vangelo del 1 Novembre 2020

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Il brano sulle beatitudini che la chiesa sceglie di proclamare nel giorno di tutti i Santi martella sull’aggettivo «beati». Le beatitudini possono essere considerate una sorta di “radiografia della santità”, perché presentano la vita cristiana – che altro non è se non la chiamata alla santità – in frasi brevi e incisive.


È opportuno ricordare che ogni santo viene prima proclamato “beato” dalla Chiesa. Beatitudine significa felicità, pienezza, contentezza; ma la parola greca che soggiace al termine in realtà ha altre sfumature di traduzione interessanti: infatti, il termine makàrioi – beati – deriva dalla radice kairòs che indica il tempo; dunque “beato” qui è inteso come qualcuno che sa stare nel tempo giusto, sa vivere nel tempo, sa entrare nelle opportunità. Questa è una chiave fondamentale per capire il cristianesimo nel suo insieme, perché un santo è una persona felice, che va al centro dell’esistenza, che colpisce il bersaglio nelle cose che fa riguardo alla vita divina, la vita da figli di Dio.Entrare nel tempo significa andare al ritmo che la Provvidenza ci offre.


Il problema della stragrande maggioranza di persone è che, non appena un evento avverso irrompe nella vita, crolla il mondo e si sprofonda in crisi, più o meno pesanti. È bene, però, notare che la parola “crisi” contiene nella sua etimologia significati che riguardano il discernimento, l’opportunità e l’occasione. Lo sanno bene gli imprenditori che, in previsione di una crisi di mercato, pensano subito a come trasformarla in opportunità di guadagno. Il beato – che può essere considerato un “imprenditore dello spirito” – è colui che sa cogliere la mano di Dio e la sua presenza in ciò che la vita propone e tutto diventa chiamata a qualcosa di più grande, tutto si manifesta come grande chiamata alla santità.
Dobbiamo inoltre tenere sempre a mente che la santità è un’iniziativa di Dio verso l’uomo, non il contrario.Le otto beatitudini sono otto porte, otto chiamate a “entrare nel tempo”, a cogliere l’attimo in chiave eterna, ossia divina. Osservando la struttura delle beatitudini, si nota che tutte contengono la parola «beati» all’inizio, in realtà la risultanza della condizione esposta subito dopo: «beati i miti», «i poveri in spirito», «i perseguitati», ecc. Tutte queste condizioni – divise equamente fra pacifiche e dolorose – non sono la causa della beatitudine, bensì il mezzo attraverso il quale raggiungere la dimensione della beatitudine. Il pianto non dà beatitudine, ma attraverso di esso si può raggiungerla, “entrando nell’opportunità”, nel kairòs.


In questo passo evangelico ritornano continuamente i “passivi divini”, in cui è Dio il soggetto che opera: «saranno chiamati figli di Dio», «saranno saziati», «troveranno misericordia presso Dio». Allora il beato è una persona che ha scoperto quanto sia importante stare con Lui, si gioca tutto su questo e per questo è felice. Entrando nella sua propria dimensione, scopre che in ogni situazione Dio è la risposta giusta.
Il beato non è una persona forte, ma l’esatto opposto: è un debole che sa abbandonarsi nelle mani di Dio.


Le beatitudini sono occasioni aperte ad ogni uomo, perché in esse si manifesta la grazia dello Spirito Santo, che sa entrare nelle condizioni da cui noi scapperemmo: fame, sete, persecuzione, pianto, povertà, che nelle mani di Dio diventano però la nostra forza.

Impariamo a “stare nel tempo”, a danzare al ritmo che la vita ci suona.

Commento di don Luciano Condina

Fonte – Arcidiocesi di Vercelli