“Lo Spirito Santo vi insegnerà ciò che bisogna dire”.
A chi pensasse che la vita cristiana sia frutto soltanto dell’impiego di energie proprie, viene ricordato con forza che in gioco, ancor prima di noi, scende Dio stesso. Il nostro essere discepoli, non ha nulla da spartire con l’eroismo; esso non è qualcosa soltanto per uomini forti e temprati ma per chiunque viva l’umile consapevolezza che c’è una grazia che ci precede sempre e ci accompagna e sostiene. L’azione dello Spirito, infatti, apre le nostre esistenze a prospettive non solo impensate ma talvolta persino temute. Può venire per tutti il momento in cui siamo chiamati a salire sul banco dei testimoni in quella lotta che il mondo ingaggia contro il Vangelo. Ma anche in quel frangente, anzi, soprattutto in quei momenti le parole adatte da proferire saranno suggerite dall’alto e non da una nostra qualche sapienza.
La contraddizione e il rifiuto, grazie allo Spirito Santo, non saranno soltanto degli inconvenienti che forse era meglio evitare. Diventeranno, invece, occasioni per sperimentare di più e meglio l’azione della grazia divina in noi e opportunità per affermare da che parte abbiamo scelto di stare.
L’ammaestramento dello Spirito avviene all’occorrenza – in quel momento – perché esso non è qualcosa di cui disporre con presunzione a nostro piacimento. Quello è il momento in cui si realizza quanto l’apostolo Paolo scrive in Rm 8,26: “lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza”. L’azione dello Spirito la si sperimenta proprio quando non abbiamo più alcun appiglio umano a cui aggrapparsi, nessuna sicurezza su cui contare. È nell’esperienza della violenza usata verso di noi o in quella della nostra personale fragilità che lo Spirito ci rende idonei a rendere testimonianza al Signore Gesù davanti agli uomini.
Tuttavia, è possibile resistere all’azione dello Spirito allorquando crediamo che la nostra personale situazione di chiusura sia senza redenzione, senza alcuna possibilità di riscatto. Cosa sarebbe stato dell’apostolo Pietro se nella notte del tradimento avesse creduto che la fragilità espressa nel triplice rinnegamento non fosse in alcun modo perdonabile? È senza possibilità di perdono solo quella situazione in cui si finisce per credere più a se stessi che al Signore, credere, cioè, che non c’è grazia che possa vincere il proprio peccato e il proprio limite. Di fronte a una tale convinzione e resistenza, Dio non può che arrestarsi rispettoso della libertà della sua creatura. Qualsiasi peccato l’uomo possa aver compiuto non consiste mai nella conclusione della propria avventura spirituale che, proprio in virtù di quella caduta, conosce una pagina di creazione nuova.
AUTORE: don Antonio Savone
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