Come già nella scorsa domenica, anche in questa incontriamo Isaia che va a braccetto con Matteo per quanto riguarda la similitudine con cui raffigura il Regno dei Cieli. L’altra volta il grande profeta aveva intonato il canto della vigna, oggi ci presenta la canzone del banchetto, mentre Matteo riporta la parabola del pranzo di nozze. Il banchetto, come il pranzo nuziale, in tutte le culture è l’esempio migliore per esprimere amicizia, dialogo, intimità, tanto è vero che Gesù, al di là delle parabole, sceglierà proprio i pranzi o le cene per lanciare il suo insegnamento più importante, quello dell’amore: ricordiamo il primo miracolo alle nozze di Cana; i banchetti che sanciscono la conversione, come quelli in casa di Matteo e di Zaccheo; le cene con gli amici Lazzaro, Marta e Maria e quelle dopo la resurrezione ad Emmaus e sul lago di Tiberiade. Pensiamo soprattutto alla cena pasquale nell’ultima sera della sua vita, quando istituisce l’eucarestia e il sacerdozio ministeriale.
Per questo il pranzo fra amici diventa anche il simbolo del paradiso, dove vivremo tutti felici, uniti nell’eterno amore di Dio; il paradiso che è la condizione finale per la quale siamo stati creati. Aveva ragione Lutero a dire che siamo tutti predestinati, però lo siamo non alla dannazione, bensì alla salvezza. Dio invita tutti al banchetto dei Cieli e a noi cristiani in più dà anche un biglietto di prelazione, il battesimo, con il quale ci dona la santità all’inizio della nostra vita, senza alcun merito da parte nostra. Gesù però ci spiega, con la parabola di oggi, che quel biglietto possiamo anche strapparlo e non andare al banchetto, ma quella festa si terrà ugualmente, anche senza di noi.
Il Signore invita infatti anche gli altri che non hanno avuto il biglietto perché, non illudiamoci, non basta dire sono battezzato, cresimato, faccio la comunione… per entrare nel regno dei Cieli (non chi dice Signore, Signore…), mentre vi può entrare chi, senza sua colpa, non è neanche battezzato. È chiaro in questo senso il Concilio Vaticano II allorché, nella Lumen Gentium (n° 16) dice che «… quelli che senza colpa ignorano il vangelo e la chiesa, ma che sinceramente cercano Dio, possono conseguire la salvezza eterna»; sono questi i secondi invitati della parabola di oggi, senza il biglietto di prelazione. Ma devono stare attenti anche loro, infatti il Concilio continua… «purché si sforzino di vivere una vita retta». È questa la veste nuziale che è richiesta a tutti, battezzati e non, per partecipare alla festa del paradiso: l’impegno nel vivere rettamente e nel compiere le opere buone.
La felicità di una mamma anziana è senz’altro quando, magari per pasqua o natale, raccoglie attorno a sé figli e nipoti, generi e nuore e li vede tutti andare d’amore e d’accordo. E come è dispiaciuta se, per una qualsiasi ragione, qualcuno non partecipa e il suo posto rimane vuoto. Questa è anche la felicità e il dispiacere di Dio: la festa eterna del paradiso, in cui però ci saranno i posti vuoti di chi ha snobbato l’invito.
Impegniamoci fin da ora a confezionarci l’abito nuziale con la stoffa delle buone opere e il filo della preghiera e dei sacramenti e avremo un posto in prima fila al banchetto delle nozze eterne.
A cura di Don Mariano Landini per Toscana Oggi