p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 11 Ottobre 2020

“Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”: la domanda del re è indirizzata ad uno che ha risposto all’invito per le nozze senza la veste nuziale. Questo amico rappresenta i cristiani che partecipano alle nozze del Figlio: sono coloro che hanno accolto il Messia.

Possiamo riflettere in modo sano che non è sufficiente dire di sì, perché non chi dice “Signore, Signore” entrerà nel Regno ma chi fa la volontà del Padre. È un richiamo alla normalità del cogliere il fatto che in mezzo a noi, dentro di noi, oltre al grano c’è sempre la zizzania, oltre al bene c’è il male, senza cedere alla tentazione dello scandalo e alla necessità di puntare il dito contro un altro.

Questa è una finestra biblica non sul passato, che tanto ci piace per comprendere come è stata una storia, ma sul nostro oggi. Non ci interessa vedere ciò che è successo, utile per distogliere lo sguardo dall’oggi e incolpare il passato. Prestare l’orecchio alle parabole senza eccessive difese, utili a dire che non riguarda noi e che parla d’altri, è bella via per capire che le parabole parlano di noi. Il racconto, la parabola, è uno specchio che ci permette di vedere il nostro volto, ciò che diversamente noi mai vedremmo.

Questa parabola è un richiamo alla responsabilità: a salvezza proviene dal riconoscere che noi non siamo diversi dai nostri padri, magari rigidi nell’educazione come noi lascivi nella stessa: due atteggiamenti che troppo spesso non parlano d’amore perché vuoti di cuore.

Noi siamo chiamati a ricevere un cuore di figli, liberati da un cuore di pietra. Quanto avvenuto, raccontato dal Vangelo, come la storia dei vignaioli omicidi è parabola di ogni storia: ciò che avvenne in quel tempo, avviene in ogni tempo!

Siamo chiamati, nel vangelo odierno, a partecipare al banchetto che è pronto. Siamo invitati, dopo il rifiuto, a non essere rifiutanti con l’indifferenza e la violenza. Il nostro rifiuto è per Dio occasione per rivolgere a tutti l’invito, perché la sala deve diventare piena. Fra gli invitati che entrano nella sala ecclesiale, c’è del bene e del male.

Noi che rifiutiamo la pietra scartata siamo invitati ad accogliere la pietra scartata. Non riconoscere di essere tra coloro che rifiutano la pietra è scelta di essere senza la veste nuziale. Siamo chiamati a sperimentare che Gesù è venuto a salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. Riconoscere di essere peccatori come figli e come Chiesa è via per diventare luce per i fratelli, luce per le nazioni. La veste nuziale è quella del Figlio che compie la volontà del Padre. Il re, il Padre, ci chiama amici mostrandoci la nostra nudità. Questa veste è di chi si libera nello scoprirsi peccatore e nell’accogliere l’invito a farsi bello, a convertirsi. Questa è via per vivere da perdonati, cosa bella e umanizzante, accogliendo l’invito alla conversione, cioè a riconoscere il nostro esserci insozzati e la bellezza nel dirci di avere bisogno di fare un bagno, di fare la scelta di fare il bagno.

Riconoscere il proprio male e peccato ha la bellezza di questo modo di essere e di vivere, un modo da figli grazie al dono del Padre.

Allora siamo gente graziata, chiamata a graziare i fratelli: come dono bello da condividere nell’amore della gratuità.

Solo chi si riconosce sterile fa frutto! Sapersi omicidi del Figlio è divenire suoi eredi. Riconoscersi nudi è aprire la strada al rivestimento. Riconoscere l’amore con cui siamo amati è via per amare noi stessi in modo vero, è via per amare gratuitamente gli altri, è via per riconoscere l’Altro-Amore che diventa luogo di amore semplicemente perché ci ama sempre e comunque.

Questa è la veste nuziale che ci riveste del Cristo, del Figlio, del Fratello.

Avere fede è credere in questo poco che promette di dilatarsi fino all’Infinito. Forse la fede è sentirsi chiamati per nome, abbandonando la distinzione patetica tra i buoni e i cattivi, vivere non è “comportarsi bene” ma rispondere, nel senso più profondo del termine, sentire che la vita chiama sempre e comunque a prendere posizione e che non esistono affari propri, che nulla è proprio e che tutto è appello. Forse la fede è tornare a guardare ogni uomo come un “commensale”, un affamato, un povero cristo che ha bisogno di essere invitato.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
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