Quest’oggi siamo al cospetto di un brano particolarmente infuocato.
Ed al centro di questi quattordici versetti matteani, estratto che la Liturgia ci offre come lettura evangelica domenicale, arde esattamente questa riga:
«Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città» (Mt 22, 7).
Poniamo come focus della nostra riflessione quello che la traduzione italiana rende con la circonlocuzione: «diede alle fiamme».
Nel testo originale greco del Vangelo secondo Matteo, questa espressione appena evidenziata è resa propriamente con una sola parola, esattamente un verbo: enépresen.
Tale termine è declinato da emprétho che vale «bruciare/incendiare».
Nessuna questione lessicale di divampante rilievo sarebbe da notare circa tale lemma, tranne il fatto che emprétho, come secondo significato, intende «gonfiare».
Molto curioso come questa seconda accezione («gonfiare») possa trovare immediata vicinanza logica non tanto con «fuoco» (ovvero «bruciare»), quanto paradossalmente col suo diretto ed immediato opposto, ovvero «acqua». -Interessante notare come nel verbo emprétho si possa ascoltare l’eco del sostantivo greco pũr, ovvero «fuoco». Ma è assai rilevante come dalla radice di pũr venga l’aggettivo latino purus (il nostro «puro»), attributo che si ottiene tanto in virtù del fuoco, quant’anche in virtù dell’acqua
Ma che sintonia può esserci fra il «bruciare/incendiare» e il «gonfiare»?
Certamente il concetto del «bruciare/incendiare» riesce a veicolare, quanto meno in senso figurato e di immagine, un «gonfiare» (pensiamo all’espressione «gonfio d’ira», che è esattamente equivalente a «incendiato d’ira»).
Nondimeno il «gonfiare» può portarci anche altrove: tanto all’acqua (come accennato sopra), quant’anche al senso di «abbondanza/opulenza». -Per fare un esempio: spesso le statuette egizie che rappresentano lo scriba, riproducono il soggetto tutt’altro che scarno, anzi, lo dotano di una sezione addominale ben pasciuta e manifestamente pingue e gonfia (i cosiddetti «rotolini di grasso»). E questo non per manifestare un disprezzato gonfiore (obesità), ma per segnalarne la condizione di benessere e di abbondanza/opulenza
Detto tutto quanto, riteniamo opportuno precisare una cosa: il senso letterale del Vangelo, e delle Sacre Scritture in toto, non va mai rigettato.
Invero, non possiamo mai rifiutare il fatto che l’Autore Sacro, scrivendo enépresen («diede alle fiamme»), intendesse esattamente «bruciare/incendiare», anche perché questa parola, tra l’altro, è messa in bocca a Gesù, quindi era opportuno riportarla fedelmente: e così è stato.
Eppure la Parola di Dio che è dentro lo scritto, dentro la Scrittura, può spesso ispirare e disegnare tracciati, illuminazioni e allusioni di senso, celati pure dallo scrittore stesso, il quale potrebbe anche non averli pensati o conosciuti. La Parola di Gesù, infatti, è piena, è compiuta e completa, ed è insieme storia e kérugma («annuncio»): va recepita tanto nel suo guscio quanto nel suo gheriglio; è vera e verità tanto per le orecchie quanto per il cuore. –sia ben chiaro: lo scrivente non sta incensando sé stesso, riconoscendosi quale illuminato interprete della Scrittura. Ciascuno di noi, infatti, può cogliere la luce della Parola di Dio, e può farsi di questa esegeta: purché non vengano mai intaccate e travalicate l’unità e l’univocità di contenuto e senso della Parola stessa e della Tradizione, e purché si abbia sempre un atteggiamento di apertura e di accoglienza dinanzi all’intervento della Grazia del Signore pure quando si legge, si ascolta e si medita la Scrittura
Da ciò proviamo a tradurre il testo, prendendo quale accezione di significato non più emprétho-«bruciare/incendiare», ma emprétho-«gonfiare (abbondante)»:
«Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e gonfiò (di abbondanza) la loro città».
Ebbene, non è forse vero che le nostre città, le città di noi che siamo «invitati alle nozze», sono gonfie di tutto, tra beni, servizi, mezzi, modi e maniere che tendono a (o che ritengono di) riempire e soddisfare ogni nostro volere e ogni nostra esigenza? Non è forse vero che la nostra città, ovvero la vita di noi che siamo «invitati alle nozze», è gonfia di ogni benessere finanche al superfluo?
E tutto ciò è dono di Dio, il quale «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5, 45).
Eppure, non è forse vero che tutto questo «gonfiore» (emprétho) ci «brucia» e ci «incendia» (emprétho)? Ci fa ardere di insaziabile ingordigia e di ferino desiderio di accaparramento personale, e ci consuma a causa delle feroci fiamme dell’egoismo più esasperato?
Ecco, allora, che la Parola del Signore Gesù viene a disputa con noi e la nostra umana umanità (che è certamente «umana», quindi predisposta all’errore, ma non per questo da giustificarsi a prescindere, poiché dinanzi alla predisposizione all’errore, che è un «sentire», si può tanto «accon-sentire» quant’anche «dis-sentire»), avvertendoci come la grazia della nostra opulenta condizione, qualora non venga vissuta e goduta (poiché ogni grazia va goduta appieno, compresa quella mondana) alla luce della Grazia, possa essere per noi un ustionante rischio, che può portarci ad escluderci (siamo noi che ci escludiamo, siamo noi che diamo alle fiamme noi stessi, preferendo i pranzi al Pranzo – Cf. Mt 22, 4) dal partecipare alle «nozze per suo figlio» (Cf. Mt 22, 2).
Ebbene, la lettura dell’odierno «diede alle fiamme la loro città» con il senso di «gonfiò (di abbondanza) la loro città» riesce a farci cogliere proprio quello che abbiamo appena messo in evidenza, ovvero ci aiuta ad allontanarci dall’erronea considerazione che il Signore sia giudice di tracotanza e condanna, che accende roghi a destra e a manca, ma ci conduce a cogliere l’essenza piena di Dio, Egli che è il Signore della Pienezza (anche terrena) sempre e per sempre; Egli che è il Signore Gonfio («abbondante e che elargisce abbondanza» [emprétho]), non gonfio («incendiato ed incendiario» [emprétho]).
Ma Colui che è la Pienezza, è Colui che ci lascia pienamente liberi: liberi di scegliere se bruciare delle fiamme dell’abbondanza, o gonfiarci dell’ardore della Fonte della Sovrabbondanza (Cf. Gv 4, 14 – Rm 5, 20). -Ribadiamo, ancora, come il senso letterale del Testo Sacro non debba andare disperso, e come le Parole di Gesù non debbano essere edulcorate ad ogni costo. Facciamo presente, nondimeno, che nel caso odierno siamo al cospetto di una «parabola» (Cf. Mt 22, 1), quindi di una parola che va, già per sua natura, «còlta/individuata/scavata e scovata»; possiamo comunque ricordare come l’asprezza manifesta, e mai da rinnegare, di alcune pronunzie del Signore possa ricapitolarsi nell’ambito dell’istituto ebraico del rív («controversia a due [parti processuali] che tende ad una riconciliazione» – Cf. FRATELLO-AMMONISCILO)
Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.