Beati gli invitati alla cena dell’Agnello
XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Dopo le tre parabole in cui il protagonista era il padrone o il padre che invitava a lavorare nella vigna, ora è il re che organizza la festa di nozze di suo figlio. In questa parabola ritornano alcuni temi che caratterizzavano anche le precedenti, tra cui, l’invito reiterato mediante i servi e il rifiuto opposto dagl’interlocutori. La novità di questa parabola, rispetto alle altre sta nell’oggetto dell’invito: non si parla più di lavoro ma della festa di nozze. Il matrimonio, simbolo del patto tra Dio è il popolo d’Israele, è l’immagine che Gesù sceglie per annunciare l’evento della passione e della morte attraverso il quale si stipulerà la nuova ed eterna alleanza tra Dio e l’uomo.
A fronte dell’entusiasmo con il quale il re invita i commensali alla festa si riscontra una generale indifferenza perché ognuno sembra troppo occupato nelle sue faccende e non ha tempo da perdere.
Non c’è un esplicito rifiuto, ma qualcosa di peggio che è la non curanza. L’atteggiamento degli invitati riflette la mentalità individualista in cui trionfa la cultura dell’ “io” a scapito di quella del “noi”, che priva ogni cosa, compreso il lavoro e la festa, del suo valore sociale e comunitario per esaltare quello del piacere individuale. Senza uno sguardo che vada oltre i confini del proprio io il lavoro diventa terreno di competizione e rivendicazione e la festa un’occasione per fare sfoggio di sé. L’egoismo porta a cercare e ad accettare un lavoro in base al guadagno e a vivere la festa come forma di evasione o trasgressione dalle regole imposte dalla normalità della vita.
Se ci fermassimo semplicemente a considerare i motivi del rifiuto anche noi opporremmo un rifiuto all’invito che Gesù ci sta rivolgendo di lasciarci coinvolgere nella gioia di Dio che ci ama fino a dare tutto sé stesso. Ecco allora che, se ci lasciamo distrarre dalla tentazione di giudicare e giudicarci, il Signore ci ricorda che è tutto pronto per la festa.
L’invito alla festa di nozze è un modo col quale Dio vuole dirci che non ci considera semplici sudditi sottoposti alla sua volontà e operai che eseguono gli ordini impartiti e che non gli sta a cuore tanto quanto produciamo con il nostro lavoro, ma che ci lasciamo coinvolgere nella logica della gioia e della condivisione. Come il lavoro, anche se faticoso, è la forma più alta con la quale ci prendiamo cura di ciò che Dio ci affida ed esercitiamo la nostra responsabilità, così la festa è il fine del lavoro stesso perché è partecipazione e condivisione della Sua gioia nel darsi a noi con amore.
Il dono che Gesù fa di sé sulla croce rivela che Dio vive la festa come momento nel quale condividere la vita. Sedersi tutti attorno alla stessa mensa permette di cogliere non ciò che ci differenzia e ci contrappone, ma ciò che ci rende uguali e ci unisce. Se guardiamo ai nostri meriti o alle colpe altrui rimarremo a distanza tra noi e dalla mensa comune preferendo la solitudine alla compagnia; invece se ci riconosciamo destinatari di un comune dono gratuito più facilmente ci uniremo alla gioia di essere una comunità unita e coesa nella quale si partecipa insieme al dolore e alla gioia, alle angosce e alle speranze uni degli altri.
Per partecipare pienamente alla festa di nozze è necessario un cambio di abito. La veste nuziale è quella che indossiamo quando ci lasciamo trasformare interiormente dalla parola di Dio, ascoltata e meditata. Dio parla a tutti, cattivi e buoni, come fa sorgere il sole e fa piovere su buoni e cattivi. L’amore di Dio non è condizionato dalla condotta morale degli uomini, né la sua cura nei loro confronti è proporzionata ai loro meriti o alle loro colpe. La benevolenza di Dio è totale, universale e gratuita. Infatti, molti sono i chiamati, cioè tutti! Dio ci parla attraverso la storia, nella vita, con i suoi ritmi, i suoi eventi, con le relazioni umane di cui è intessuta e continuamente chiama, interpella, invita, coinvolge. Non c’è persona che possa rimanere esclusa dall’attenzione di Dio, né essere abbandonata al suo destino. Attraverso i suoi servi, Egli si fa presente dovunque, soprattutto nelle periferie esistenziali e nei rifugi digitali (chat e siti vari) dove spesso ci si nasconde per paura di coinvolgersi in relazioni significative.
L’abito nuziale non è la divisa che indossiamo nelle occasioni particolari, ma è la veste bianca che Dio ci ha dato sin dal momento in cui, battezzati, siamo stati rivestiti di Cristo, chiamati alla vita e invitati ad entrare nella famiglia della Chiesa. La veste nuziale è l’abito che indica non tanto consuetudini e tradizioni dettate dal senso del dovere, ma l’abitudine mentale che gradualmente conforma il nostro pensare e il proprio comportamento a quello di Dio. Possiamo, infatti, partecipare alle celebrazioni o agli incontri in chiesa perché vincolati dal precetto o perché qualcuno ce lo impone. L’abito nuziale altro non è che il desiderio di incontrare il Signore e condividere con i fratelli nella fede l’unico pane che Dio spezza per tutti.
Dall’eucaristia, esperienza di comunione con Dio e i fratelli, impariamo il valore della corresponsabilità e del servizio che, da duro dovere da compiere nel quale a volte nascondiamo le nostre frustrazioni e la rabbia, diventa gioioso e generoso dono di sé.
Auguro a tutti una serena domenica e vi benedico di cuore!
Commento a cura di don Pasquale Giordano
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]