don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 27 Settembre 2020

Imparando ad obbedire a Dio insegniamo ad amare

XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

La parabola dei lavoratori ingaggiati a tutte le ore, che abbiamo ascoltato domenica scorsa, ci ha fatto riflettere sulla bontà di Dio che si manifesta nell’atteggiamento del padrone di casa che esce più volte nell’arco della giornata lavorativa per mandare nella sua vigna quanti più operai possibili. Nel momento della ricompensa quelli che erano stati chiamati per primi pensano di ricevere un salario maggiore rispetto agli ultimi, ma vedendosi trattati allo stesso modo, si ribellano accusando d’ingiustizia il padrone. La prima lettura di questa domenica, tratta dal profeta Ezechiele, inizia proprio dal malumore di quelli che non comprendono l’atteggiamento di Dio e mormorano contro di Lui accusandolo di una condotta ingiusta. Sia il profeta Ezechiele che Gesù si rivolgono a quelli che hanno consapevolezza di essere “primi” perché ricoprono incarichi di responsabilità come «i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo». Qual è la prima responsabilità delle autorità? È l’obbedienza a Dio. Per poter essere leader e amministrare la giustizia, bisogna innanzitutto saper ascoltare Dio. Il modello è Gesù Cristo che, pur essendo della stessa condizione di Dio … si fece obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha sovraesaltato. L’uomo giusto non è quello che ha sempre in bocca la Parola di Dio, o che giudica in nome suo, ma colui che, meditandola ogni giorno, le permette di penetrare piano piano nel cuore. Obbedire non significa non sbagliare, ma ascoltare e lasciarsi guidare dalla Parola di Dio, anche quando non si comprende quale sia la sua volontà. Infatti, il primo figlio agisce d’istinto facendo prevalere la sua volontà, ma l’invito ad andare a lavorare nella vigna che il padre gli ha rivolto lo mantiene nel cuore, se lo ripete dentro e alla fine si convince a dire con i fatti il suo sì. 

La legge non ci appare facile da mettere in pratica e siamo sinceri quando opponiamo resistenza perché siamo consapevoli dei nostri limiti. Le esigenze del Vangelo, che sono le stesse dell’amore, ci appaiono superiori alle nostre forze e abbiamo ragione perché da soli non riusciremmo a perdonare, ad amare fino alla fine, a non rispondere ala male con il male. È normale che la nostra prima risposta alla chiamata di Dio sia no. Chi riuscirebbe con la sola forza della sua volontà a «svuotare sé stesso», «farsi povero» e sacrificarsi per i peccatori e gli ingrati? Nessuno! Eppure, se ci lasciamo pungere dalla Parola di Dio riusciamo a fare un percorso di conversione attraverso il quale, istruiti da Gesù, possiamo assumere i suoi stessi sentimenti, perché il Vangelo è come il bacio sulle labbra attraverso il quale lo Spirito di Dio da Lui passa a noi. Il lavoro nella vigna, ovvero il servizio d’amore agli altri come quello di Cristo e insieme a Lui, è possibile solo se animato dallo Spirito Santo. 

I sentimenti di Cristo, amore e compassione, vengono assimilati nella misura in cui, metaforicamente parlando, si esercita più il senso dell’udito e meno quello dell’olfatto, della vista e del tatto. Infatti, soprattutto chi esercita un’autorità e si assume delle responsabilità, è più esposto alla tentazione di lasciarsi guidare dal “fiuto degli affari remunerativi” o dalle “luci abbaglianti del potere e della fama” che alimentano bramosia di “stringere” qualcosa o qualcuno tra le mani. L’olfatto e la vista istintivamente muovono i passi verso un oggetto da prendere e divorare per possedere. Da qui nascono i sentimenti di rivalità e vanagloria. 

L’obbedienza è la virtù fondamentale per amare il cui movimento è opposto a quello dell’afferrare e divorare. Obbedire significa fare un cammino di conversione che comporta da una parte lo “svuotamento” del proprio io con la scelta di farsi poveri, mancanti, bisognosi dell’altro, e dall’altra parte l’opzione di fidarsi di Dio e lasciarsi istruire da Lui. 

Gesù è il primo figlio che diventa il primogenito di molti fratelli, l’uomo giusto perché, ascoltando la voce del Padre, aderisce alla sua volontà e si dona totalmente sulla croce. Il Vangelo ci invita ad indirizzare i nostri passi sulla «via giusta» lì dove il Signore ci chiama a servirlo e amarlo anche se questo comporta non una rinuncia alla nostra volontà ma l’adesione alla sua per essere nella comunità tutti unanimi e concordi. 

Dio non ci giudica dal curriculum delle buone azioni fatte perché lo prescrive la legge, ma perché, pur con difficoltà e facendo i conti con la nostra debolezza, abbiamo saputo ascoltare la voce di Dio in quella dei fratelli, anche di quelli più fastidiosi o le cui richieste sembrano essere esorbitanti rispetto alle nostre forze. Non si è mai in ritardo per imparare ad ascoltare e recuperare il tesoro delle relazioni che rendono la nostra vita veramente bella e luminosa. 

Auguro una serena domenica e vi benedico di cuore!


Commento a cura di don Pasquale Giordano
FonteMater Ecclesiae Bernalda
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