don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 27 Settembre 2020

Non è retto il modo di agire del Signore

“Voi dite non è retto il modo di agire del Signore…” Certo che lo diciamo, perché retto non è. Il modo di agire del Dio che cocciutamente crediamo di conoscere non è chirurgico, non è immediato, non è senza sbavature. Non è una giustizia umana dai tempi perfetti e senza esitazioni. Non è l’onniscienza che, sapendo tutto, premia e punisce senza dubbio alcuno. Quello non è il modo di agire del Signore, quella sarebbe solo l’illusione di una giustizia umana portata a perfezione. Poca roba rispetto al divino sguardo sull’uomo.  

“Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?” Ezechiele, prima lettura. Dio non è retto, quando si muove non ama scegliere la via più breve tra due punti, il Signore il tempo lo prende, lo dilata e disegna curve e ricami, lo allunga, lo rallenta. Crea attese. Gioca con le possibilità.

Dio non è retto, Dio crea spazi e tempi per cammini che noi riteniamo impossibili. “E se il malvagio si converte…” la giustizia di Dio non è inflessibile, prende il tempo e ci infila dentro il dubbio “e se…”? La giustizia divina non perde di vista il figlio, non smette di sperare nell’uomo. La fede non è quella dell’uomo in Dio, è quella di Dio nell’uomo. Questo salva la vita. Giusta non è una punizione ma uno sguardo buono che scende in noi e vede una possibilità di rinascita. Perché il malvagio che si converte “fa vivere se stesso”.

Il Signore spera e crede in noi. Il Signore inventa uno spazio e un tempo, ce lo regala, così che si possa cambiare… “ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli di certo vivrà”.

Ma non sentite che questa frase commovente racchiude uno sguardo che stravolge la storia, che fa crollare quell’immagine di Dio monolitica e asettica? Questo è agire retto, questi sono gli sguardi che ci salvano, solo che a noi fanno paura, perché il male ci fa paura e crediamo che dare possibilità al fratello sia un modo per non controllare il male, per perdere il controllo. Ma se uno ha paura deve lasciar perdere di educare. Deve lasciar perdere di amare. Deve lasciar perdere perfino di essere chiesa. Una chiesa che ha paura di perdere il controllo, una chiesa che ha paura del male, sarà forse più “giusta” secondo le logiche umane ma non sarà per nulla divina. Io non voglio una Chiesa pulita, non credo in una Comunità giusta fatta di giusti, anche perché io non troverei posto. A cosa serve illudersi? San Paolo nella seconda lettura parla di “rivalità e vanagloria” nella comunità di Filippi. Niente di nuovo. Dove due o tre saranno riuniti anche nel mio nome lì ci sarà rivalità e vanagloria. Niente di nuovo. Si accoglie questa fragilità senza nasconderla. Ci sono e ci saranno sempre scandali. Intervenire credendo di ripulire e portare a perfezione la struttura è sogno diabolico. Bisogna invece svuotarsi “svuotò se stesso assumendo una condizione di servo”, come Gesù. Svuotare soprattutto quella perversa idea di un Dio perfettissimo per accogliere il Suo essere servo. Servo della nostra umanità, servo per la nostra vita. Servo che si svuota per diventare compagno di viaggio che crea spazi e tempi di possibilità.

Non mi interessa credere in una comunità senza sbavature, ci ho creduto fin troppo e ho sofferto e fatto soffrire. Non credo in realtà perfette, credo nell’esercizio quotidiano dello svuotamento, credo che torneremo ad essere credibili il giorno che ci svuoteremo delle nostre illusioni, che ci svuoteremo delle nostre maschere, che ci svuoteremo del nostro orgoglio per dire che siamo perenni rivali gli uni degli altri, che gli altri ci fanno pura, che il nostro volontariato è spesso una rivendicazione di potere, che usiamo le strutture perché abbiamo paura di essere niente. Che siamo in ricerca costante di una gloria vana, perché poggia solo sulla nostra paura di essere nessuno. Torneremo ad essere credibili quando confesseremo che in Dio abbiamo smesso di credere il giorno esatto in cui ci siamo accorti che veneravamo una nostra proiezione idealizzata. Che abbiamo smesso di credere in Dio e nella Chiesa perfetta perché ci siamo accorti che ci stavamo inginocchiando a una immagine di noi falsa e idolatrica. Confesseremo che ci siamo spaventati per la tenebra che portavamo dentro. Che avremmo voluto morire. Ma che siamo salvi solo grazie all’agire divino, che siamo salvi perché il Signore ha creduto in noi, dilatando spazi e tempi, trasformando la vita da “banco di prova” a spazio per la conversione.

Come dice bene Gesù nella parabola di oggi. Un uomo chiede ai figli di andare nella vigna a lavorare. Nessuno dice sì e si mette al lavoro, nessuno dice no e rimane a casa. A Gesù sembra non interessare l’agire “retto” secondo gli uomini, quello coerente. Gesù sta parlando ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo… Gesù parla a gente di chiesa, a chi crede che a convertirsi debbano sempre essere gli altri. Gesù parla a gente che crede di essere la coerenza in persona. Gesù non prende in considerazione una vita senza spazi di ripensamento. A cosa servirebbe vivere senza la libertà di cambiare?

Un uomo chiede ai figli di andare nella vigna. Il secondo dice sì ma poi non si muove di casa.

Il primo invece inizia un vero e proprio itinerario interiore: dilata il tempo. Prima dice che non ha voglia. Comunque risponde e risponde il vero. Significa che si è guardato dentro e che, soprattutto, ha riconosciuto quell’uomo come padre e non come padrone. Sarà risposta scorretta ma è risposta che abilita due persone al confronto. E poi non sappiamo cosa sia successo, non sappiamo cosa sia scattato ma il secondo figlio si pente. Significa che le parole del padre hanno lavorato in lui. Si è preso il tempo di riflettere, di allontanarsi dal male e di decidere. Di cambiare.

“Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?” chiede Gesù, i capi e gli anziani del popolo non hanno dubbi: il primo! Senza esitazione rispondono.

E non hanno capito nulla.

Il primo, per adesso. Ma se io guardo anche il secondo con fede, se invento tempo, se dilato la possibilità, se credo in lui… perché escludere che anche lui prima o poi vada nella vigna?  Non è difficile credere in Dio, è difficile credere nell’uomo.


AUTORE: don Alessandro Dehò
FONTE: Sito personale
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