“La peccatrice perdonata”, “A tavola in casa di Simone”, “Misericordia per una peccatrice”: molti sono i titoli attribuiti e attribuibili a questo ricco racconto evangelico. Porre un titolo è già orientare lo sguardo. Suggerisce un’interpretazione. Ciascuno può porre un titolo, come a ogni evento, anche della propria vita. Perché non intitolarlo, ad esempio, “Il fariseo e la peccatrice”, oppure “Un vaso di profumo”, “I piedi di Gesù cosparsi di profumo”, o ancora “Due debitori”, o “Perdono dei peccati e amore”, “Della gratuità dell’amare”, “Del molto amare”, o “Fede dall’amore”?
Da quale punto di vista mi pongo? Quello di Simone il fariseo? Della donna senza nome ma che si imprime nella memoria? Di Gesù? Di chi assiste alla scena?
“Uno dei farisei” è il primo personaggio che compare, colui che prende l’iniziativa di invitare a mangiare presso di sé Gesù. Solo più tardi scopriamo il suo nome, quando Gesù gli indirizza una parola.
A riempire la scena è subito “una donna, una peccatrice di quella città” (Lc 7,37). Viene presentata senza volto ma solo con la sua fama. La sua identità sarà invece svelata dai suoi gesti silenziosi, carichi di coraggio, dallo slancio di chi intuisce la possibilità di una libertà di vita. Di chi osa amare. Di chi ritrova lì la sua fiducia, e questa viene riconosciuta da Gesù, che la rimanda verso la vita, verso la pace.
E infine c’è Gesù, appunto, oggetto dell’invito di Simone e oggetto delle premurose attenzioni della donna. Il fariseo sembra cercare di ottenere l’amore di Dio con l’osservanza della Legge mentre con la donna, ben al di là di ogni compravendita, emerge la dimensione della gratuità.
La donna si pone dietro a Gesù e piange. Il suo pianto sembra liberarla dai pregiudizi della gente. E forse anche da se stessa. Ha l’audacia e la smisuratezza di chi ama. Non le importa di altro se non del fascino di quel profeta chiamato Gesù.
Di fronte a quello che viene invece percepito come uno scandalo da parte di Simone, Gesù racconta la vicenda dei due debitori: sembra un richiamo forte a chi presume di sapere e di essere nel giusto, e allo stesso tempo consolazione per chi accetta di essere oggetto di grazia, di amore immeritato, per chi accoglie di essere amato gratuitamente, diventando così capace di amare senza misura. Siamo tutti debitori ma siamo tutti già amati per quel che siamo, proprio per come siamo fin nelle viscere, talvolta sconosciute anche a noi stessi.
Solo una vita d’amore rende operante e vivo l’amore di Dio e il suo perdono.
L’amore di Dio rende possibile il nostro osare lasciarci amare e amare, lasciarci perdonare e perdonare. Viene prima l’amore o prima il perdono? “Perché ha molto amato”. È questo a dare origine al perdono? O si ama quando si sa di essere già perdonati? Forse l’ambiguità resta e ci ricorda che amore e perdono sono inscindibili. E, anzi, danno origine, o si fondano, sulla fiducia, sulla fede. Le ultime parole di Gesù, rivolte direttamente alla donna, la rimandano alla sua stessa capacità di fidarsi, e quindi di affidarsi. È questo a renderla aperta alla vita. Perciò Gesù può invitarla ad andare verso la pace, a camminare sulla via della pace. E può invitare ciascuno di noi.
sorella Silvia
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