PESCATI DALL’AMORE DI CRISTO PER PESCARE NELL’AMORE OGNI UOMO
Anche oggi Gesù è “presso” il lago, immagine dei luoghi dove “peschiamo” per vivere e dove spesso troviamo la morte. Ma bisogno di una “barca” perché “la folla” gli “fa ressa intorno”. Per questo si “leva in piedi” come “risorgendo” dal sepolcro dell’anonimato della massa, dove il demonio, sollecitando la paura di essere giudicati e rifiutati, ci spinge a confondere le nostre cicatrici con quelle degli altri per impedire così alla salvezza di trovare il destinatario. Nella “folla”, infatti, il mal comune è mezzo gaudio, perché i peccati perdono i loro proprietari; indossano la maschera del bene perché nel mondo, “costruiamo regole morali che consentono la convivenza in quel dato contesto storico. Non esistono peccati ma esistono reati. Quando finisce un’epoca, finisce anche una morale, si verifica una rivoluzione che smantella la vecchia architettura per costruirne un’altra” (Scalfari).
Ma con la sua resurrezione Cristo ha inaugurato un’epoca nuova aperta sull’eternità e fondata sull’immutabile Verità del suo amore: Gesù “si leva in piedi” dalla notte nella quale era sceso per distruggere la morte che afferra chi costruisce “nuove architetture” perché confuso nella massa “sballottata qua e là da qualsiasi vento di dottrina”. “Si leva in piedi” dalla “folla” per “vedere” le barche “ormeggiate alla sponda” dello sconforto; il suo amore non si lascia afferrare dalla massa, ma giunge a ciascuno ormai “sceso” dalla barca e arreso al fallimento. Gesù vuole proprio quelle barche per “salirvi” e farsi pescatore con quei pescatori, socio del loro “non aver preso nulla”. Gesù vuole te così come sei, per farsi uno con il tuo fallimento, e lì, accanto a te, “pregarti di scostarti un poco da terra”. E’ il primo passo, frutto dell’iniziativa di Gesù che solo dopo essersi donato a noi ci chiede di aprirci “un poco” a Lui. Ma quel “poco” è decisivo: è quando ascoltiamo il Kerygma, lo accogliamo e cominciamo a camminare nella Chiesa. Solo chi ascolta Gesù che lo “ammaestra” “seduto” nella comunità, e sperimenta il potere della “sua Parola” può fidarsi di Lui sino a “gettare” le reti proprio dove aveva fallito. Dove non sono stato sincero sperimentare di poter dire la verità senza paura; dove ho peccato nella sessualità, sperimentare la castità; dove ho giudicato, sperimentare il perdono. E tutto in virtù della Parola di Cristo che ci annuncia la Chiesa.
Lo “stupore” che “prende” chi “pesca una quantità enorme di pesci” nello stesso mare dove “ha faticato tutta la notte senza prendere nulla”, illumina poi la verità: “peccare” è fallire, ma non c’è da “temere”, perché Cristo ha vinto il peccato! La missione, infatti, è il frutto della rinascita battesimale: “non temere”, entra nelle viscere di misericordia della Chiesa, e risorgi a vita nuova, perché “d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Per “diventare pescatori di uomini” dobbiamo cioè sperimentare in noi la morte dell’uomo vecchio che pesca gli altri per saziare se stesso e la nascita dell’uomo nuovo che pesca offrendo se stesso per tirarli fuori dalle acque della morte. L’espressione “pescatore di uomini” nasce al tempo dell’esilio in Babilonia, quando gli Israeliti erano dispersi, come ciascuno di noi; Dio era andato a cercarli e pescarli: “Ecco, io invierò numerosi pescatori che li pescheranno” (Ger. 16,16). Siamo stati “pescati” mentre ci dibattevamo nei fallimenti ai quali ci avevano consegnato i nostri peccati. Siamo chiamati con Pietro e la Chiesa ad entrare in ogni giorno come nell’esilio di tanti figli di Dio dispersi dal demonio. La nostra vita è per loro, gettata da Dio come una rete di misericordia per riportarli a casa. Ciò significa accorgerci della loro barca, dando importanza alla loro vita ormeggiata nella massa con le reti vuote; avvicinarci senza pregiudizi ed entrare nella barca, farsi tutto a tutti, non temere di sporcarci perché altrimenti ogni altra parola o gesto saranno inutili.
Coraggio, non temere di salire sulla barca dei perdenti, perché la fede ci fa vedere nel fratello più debole e corrotto il “pescatore di uomini” che diventerà per il potere del Vangelo. Solo dopo essere entrati nel suo dolore, partecipando alla sua delusione e caricando i suoi peccati, potremo chiedere di “scostarsi un poco da terra” per annunciargli il Vangelo. “Finito di parlare”, quando cioè la Parola ha preparato il terreno mostrando in noi il suo potere di compiere l’impossibile di un amore che accoglie senza esigere e giudicare, si potrà chiedere l’impossibile di “prendere il largo” per inoltrarsi laddove ha fallito per “gettarvi” la propria vita. Accompagnarlo cioè con l’offerta di noi stessi a “calare le reti” di nuovo nel mare, perché “sulla Parola di Gesù” resa credibile dalla testimonianza della Chiesa, quello che aveva prodotto morte ora genererà vita! Fratelli, che meraviglia incontrare il Signore! La vita cambia radicalmente, e senza alcuno sforzo. Quando siamo chiamati a gettare via “tutto”, è per sperimentare che “tutto” di noi è importante, anche i difetti e addirittura i peccati, perché proprio attraverso di essi possiamo conoscere l’amore di Dio; e che la sua Parola sa tirare fuori la vita dalla morte, perché ha il potere di fare delle “reti” con cui avevamo cercato di saziarci con i peccati in strumenti di salvezza per noi e per gli altri. Dove accade una cosa del genere? Non certo nella “massa” mondana. Solo nella Chiesa che è scostata da terra ma a lei legata con amore, sempre pronta a prendere il largo con Cristo per la salvezza del mondo!
Ascoltiamo dunque la predicazione e obbediamo “prendendo il largo” nella nostra storia, per sperimentare che la Parola con la quale Gesù ci chiama ha il potere di compiere in noi la missione che ci affida.
AUTORE: don Antonello Iapicca
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