“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”: questa la risposta “face to face” del primo papa della storia all’interrogativo culminante di Gesù sulla propria identità, ascoltata nel vangelo di domenica scorsa. Pochi passi avanti ed ecco Pietro, insieme a noi che leggiamo, entrare subito in crisi. Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli (Mt 16,21). La spiegazione di cosa significhi essere il Cristo sconvolge l’uditorio al punto che Pietro stesso si sente in dovere di richiamare all’ordine il Maestro (Mt 16,22). Gesù invece, senza mezzi termini, lo invita a tornare al suo posto. E lo fa chiamandolo satana, rincarando la dose per non dar adito a dubbi: per lui Pietro è uno scandalo perché non pensa secondo Dio, ma secondo gli uomini (Mt 16,23). Ma come si può in un paio di minuti essere proclamati beati e riempiti di inaudita fiducia (Mt 16,17-19) e poi essere chiamati diavoli poco dopo? La nostra logica si infrange davanti a questo incidente. Succede spesso quando entriamo seriamente nel mondo del vangelo. In esso infatti, non ci sono mai ovvietà.
Se però lo accettiamo, si capisce meglio perché Paolo, nella 2a lettura di oggi, ci dice di lasciarci trasformare nel modo di pensare (Rm 12,2). Spesso c’è un pensiero satanico nascosto dentro un comportamento tanto umano, dobbiamo saperlo. Pietro ha ricevuto in dono dal Padre la rivelazione che Gesù è il Messia, ed è la verità. Tuttavia non significa che l’ha compresa. Il racconto ci mostra senza alcun velo che Pietro non conosce ancora chi è il Cristo che ha davanti a sé, anche se lo indica con precisione nella persona di Gesù. La sua reazione deve essere ben meditata da chi vuol essere suo discepolo: chi vuole esserlo ha da vivere prima l’esperienza di scoprirsi molto lontano dal conoscere Dio, anche se battezzato si proclama “cristiano”. Il cristianesimo, lo ripetiamo, non è una ideologia, né un catechismo imparato a memoria, né una dottrina imbalsamata: è il mio rapporto con Gesù.
Perciò, la pagina del vangelo di oggi costituisce una svolta importantissima per il discepolo. Dopo essere stato riconosciuto, Gesù scopre la sua identità nell’annuncio delle cose che lo attendono (v.21) e noi, come Pietro, scopriamo quello che avviene quando la debolezza della croce si affaccia nel nostro spirito. Pensiamo di sapere chi è Lui, pensiamo di sapere chi siamo noi, pensiamo di sapere qual è il bene nostro e anche il suo! Pensiamo di sapere anche cos’è il bene per la chiesa, e dunque pensiamo di sapere anche qual è la strada perché la chiesa sia sempre più sé stessa, perché Dio sia sempre più il suo Dio. Ma l’incontro con la parola della croce, qui annunciata per la prima volta, ci ricorda che l’uomo lo vive come uno scontro: lo scandalo della croce che Pietro vivrà insieme agli altri qui si preannunzia come conflitto tra il modo nostro di pensare e il pensiero di Dio: perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vie – oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, così le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri (Is 55,8-9).
Lo scontro è inevitabile se si vuol davvero conoscere il pensiero di Dio. Si tratta di uscire allo scoperto difronte a quello che Gesù afferma/manifesta di sé e decidere dove collocarsi mentre camminiamo con Lui: vogliamo stare davanti a Gesù come Pietro (e come satana, ricordate le tentazioni nel deserto?) che vuole condurlo a fare la propria volontà? Oppure vogliamo seguirlo stando dietro di Lui per imparare a discernere la volontà di Dio, ciò che a Lui è gradito e perfetto (Rm 12,2), come suggerisce sempre Paolo nella 2a lettura? La fede è dunque quel meraviglioso perché molto faticoso cammino che ci porta a misurarci continuamente con la parola della croce, per acquisire progressivamente il modo di pensare di Dio. Non lo si acquista da un giorno all’altro.
Gesù parla ai discepoli di ogni tempo ricordando loro che la sua non è un’imposta, ma una proposta: seguirlo deve essere frutto di un atto di libertà. Diversamente non c’è discepolato. E ci dice che colui che imbrocca la sua via, il vero discepolo, è una persona impegnata a rinnegare il proprio falso io, una persona che piuttosto di scaricare e incolpare del proprio male gli altri è sempre protesa a prenderlo su di sé; è uno che non cerca di salvare la propria reputazione e la sua stessa vita, ma piuttosto mette entrambe a repentaglio per amore di Gesù (Mt 16,24-25). Certo, tutti noi, davanti a queste parole, avvertiamo la nostra povertà e inadeguatezza. Ma il Signore rende anche ragionevole la sua sequela con le domande successive che invitano alla fiducia in Lui e a una riflessione sull’inganno del mondo (Mt 16,26-27).
Come hanno fatto le parole di una sua discepola che ho avuto la grazia di incontrare sul mio cammino, una splendida mamma che un giorno mi scrisse questa lettera, una donna che ancora oggi dona agli altri la luce della “sapientia crucis”: “Non sono più giovane, sono stata operata di una malattia che si chiama cancro, non ho più le forze per compiere certe imprese. Inoltre mi ha preso da tempo il cosiddetto male oscuro, la depressione che da anni mi porto dentro e nella quale sono caduta a motivo di una lebbra di cui muoiono oggi gli esseri umani: i miei due figli che, caduti nella droga, rischiavano di morire ogni volta che si iniettavano la siringa, ma che, grazie a Lui, ne sono usciti. Dunque il Signore ha permesso che io sia stata sia in oncologia, sia in psichiatria. Ti assicuro che quest’ultima è la peggiore. È una morte interiore. Sei a terra. Ma in questo dolore accettato faticosamente, nel quale ti senti con Gesù nel Getsemani, Lui opera silenziosamente cose stupende. Chiedo scusa a Dio e a te se oso dire che la nostra infermità è quasi una messa vivente. Morte: perché costretti in un letto, da soli. Soli con Dio e in Dio. Gli altri ti osservano ma non comprendono. Risurrezione: perché Lui continua a tenerti per mano sussurrandoti: “cammina, Io sono con te. Ti tengo in braccio”. Ed iniziano a piovere le grazie: la gioia, lo stupore, l’amore, la fede. “Nella prosperità l’uomo non comprende” dice un salmo. Prova a portare la croce, abbracciala e Dio ti trasforma la vita. Sei nel mondo, ma non sei più del mondo. Allora puoi perderti in un cielo stellato, commuoverti davanti a un tramonto, ascoltare la dolce melodia del mare e la musica del vento, unirti al canto degli uccellini e lodare il Signore. Io sono ignorante e non so nulla di teologia, ma so che Gesù mi dice: “ti amo”. Ed io posso testimoniarlo. Se davanti a Lui faremo un solo minuto di silenzio assoluto in cui gli sia dato di parlarci e farci palpitare il cuore potremmo dire: grazie Gesù. Sono una mamma che prega a volte così: “Ti ringrazio Gesù, perché in me hai operato cose stupende. Tempo fa, quando pregavo solo il Padre Nostro, temevo quella frase che dice “sia fatta la tua volontà”. Ti ho aperto il cuore, piano piano. Ti ho ringraziato, piano piano. Ho baciato le tue piaghe, piano piano. Mi sono abbandonata totalmente, piano piano. Mi sono lasciata amare da te, piano piano. Voglio lodarti per la tua infinita misericordia, perché mi hai sedotto Signore. Non solo vuoi la mia anima, ma ti sei preso anche qualche pezzo del mio corpo. Infatti anche questo non mi appartiene. Grazie per le cicatrici che hai impresse sulla mia pelle e sulla mia anima, perché ho incontrato te, il Bene, il Sommo Bene. Ti offro i miei peccati, tutto il resto è dono tuo. Come Maria ti dico “eccomi sono la serva del Signore”. Mi abbandono a te, accetto la mia miseria, e qui trovo la perfetta letizia di Francesco. Lode e Gloria a Te Signore Gesù che mi fai vedere con gli occhi del tuo amore, in ogni persona, la tua immagine. Grazie.”
AUTORE: d. Giacomo Falco Brini
FONTE: PREDICATELO SUI TETTI
SITO WEB: https://predicatelosuitetti.com